(Adnkronos) – "Bisogna fare una distinzione netta fra quello che fanno e come si comportano i protagonisti dei social, la Rete, e quanto dipende dai giornalisti: il giornalismo è una professione e io mi auguro che lo sia con sempre maggiore chiarezza e forza, mentre i social sono qualcosa di totalmente abbandonato alla volontà delle persone, senza regole, dove sta avvenendo di tutto". Posto che c'è "grande babele di strumenti che dicono di fare informazione e in realtà spesso propongono balle", Roidi esorta la categoria a non farsi contaminare: "Noi giornalisti dobbiamo starne fuori". Lo afferma, in una conversazione con l'Adnkronos, Vittorio Roidi, classe 1940, giornalista di lungo corso, già presidente della Federazione nazionale della stampa, segretario dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti e autore di numerosi saggi sulla professione giornalistica. "La storia della ristoratrice, Giovanna Pedretti, che a quanto pare si è uccisa annegandosi, ha coinvolto alcuni giornalisti però sembra che abbia convolto di più i social, e lì manca un'autorità che indaghi e colpisca. Noi giornalisti le regole le abbiamo, gli strumenti li abbiamo, dobbiamo applicarle, usarli, fare i professionisti al meglio", sottolinea Roidi che nel caso specifico non può entrare: "Sono presidente del Consiglio di disciplina dell'Ordine dei Giornalisti del Lazio, quindi non entro in casi specifici perché potrebbe anche capitare di dover giudicare un collega coinvolto in quei casi". Per Roidi però, quanto alla professione giornalistica, "è tutto da rifare, come diceva Gino Bartali. Bisognerebbe mettere mano alla nostra professione in modo sostanzioso e approfondito. Le regole ci sono, regole precise, l'obbligo al rispetto della verità sostanziale dei fatti è indicato nella legge del 1963, chiunque non controlli una notizia e la pubblichi contravviene già a una regola del giornalismo serio e rischia anche delle sanzioni. I valori li abbiamo, i principi li abbiamo e abbiamo anche le regole, durante la vita dell'Ordine dei Giornalisti molte norme sono state create, sui migranti, sulla protezione dei minori, sui soggetti deboli. Detto questo l'applicazione delle regole c'è molto meno". "Una decina di giorni fa – è l'esempio di Roidi – è uscito, misteriosamente, un titolo enorme in cui si diceva che per l'assassinio di Simonetta Cesaroni (uno dei più famosi delitti irrisolti italiani, ndr) il colpevole è un altro, rispetto a chi era stato indagato, e si faceva il nome di questo colpevole. Un titolo per il quale sono rimasto strabiliato e addolorato, ma come è possibile che una grande testata, che non cito, incorra in un 'errore?' così grave, clamoroso". "Come presidente del Consiglio di disciplina del Lazio, da giorni mi dico: vedrai che arriverà qualche contestazione di quel titolo. Invece non è arrivato nulla e il consiglio di disciplina non si può muovere di propria iniziativa, ma solo quando gli viene sottoposto un problema, una possibile infrazione", sottolinea Roidi e aggiunge che "non è successo nulla e questo vuol dire che ci sono errori, anche clamorosi, come la violazione della norma sulla presunzione di innocenza, che non provocano reazioni, e quindi i principi piano piano si sciolgono, diventano sempre più evanescenti". Le logiche del web, che poi sono quelle della pubblicità, per Roidi stanno aggredendo il giornalismo, il che non vuol cire che il giornalismo abbia capitolato: "Quello dei titoli è sicuramente un punto dolente, in questi ultimi anni sulla rete si usa una tecnica di titolazione per 'acchiappare' il lettore che è un qualcosa spesso non professionale: si dice 'facciamo un titolo google', che è in realtà una tecnica pubblicitaria; una tecnica che appartiene al mondo della pubblicità, di chi deve fare soldi. Noi giornalisti non dobbiamo fare soldi, dobbiamo trovare la verità e la dobbiamo 'dare' ai cittadini. So benissimo che il giornalismo si basa sul commercio delle notizie ma questo commercio delle notizie ha portato molti colleghi a fare dei titoli molto, troppo spinti in avanti". "I social, la rete, sono pieni di balle, di titoli che ti attirano e poi scopri leggendo il pezzo che la notizia che ti hanno fatto intravedere non c'è". Afferma Roidi e ammonisce che questa pratica "al giornalismo non deve interessare. Il giornalismo deve rispettare le sue regole e non cadere negli errori nei quali i social, la rete cadono tutti i giorni senza che nessuno possa intervenire, anche perché tanti soggetti non sono iscritti all'Ordine dei Giornalisti e quindi non sono sanzionabili dall'Ordine stesso". Spesso si punta il dito contro la prassi della disintermediazione praticata dai politici, la ricerca di una comunicazione diretta verso i cittadini, gli elettori, saltando l'intermediazione, che poi è chiarimento, spiegazione, contestualizzazione, da parte dei giornalisti, una prassi che mina il ruolo stesso dei giornalisti, il senso dell'informazione. Roidi la pensa diversamente: "Piantiamola con questa cosa, la classe politica fa i suoi interessi, che spesso non sono quelli della buona informazione e lo dimostra attaccando sempre i giornalisti, non preoccupandosi del settore, ma noi giornalisti dobbiamo prenderci le nostre responsabilità". "Non è vero che l'intermediazione è morta, tutt'altro. Il Covid ad esempio è stato un grandissimo, tragico avvenimento con il quale il giornalismo ha scoperto di esser ancora indispensabile: si brancolava dalle opinioni di un medico a quelle di un altro e il cittadino a chi si rivolgeva? da chi poteva, e da chi può, aspettarsi una verità? Dai giornalisti! La società ha sempre più bisogno dei giornalisti perché ci si accorge tutti giorni che altrimenti la verità non viene fuori. Noi però dobbiamo essere capaci e gli ordini dei giornalisti devono controllare". Sbotta Roidi che lancia un'ultima frecciata, ai lettori: "I cittadini, i lettori, devono 'studiare', oggi maneggiano degli strumenti che offrono dell'apparente informazione in tanti modi, da tante fonti, il cittadino deve sforzarsi di distinguere, un primo passo è capire se sta leggendo, ascoltando qualcuno che è o non è un giornalista. Il lettore moderno di fronte a questa grande babele di strumenti che dicono di fare informazione e in realtà spesso propongono balle, fake news, cose che fanno l'interesse di qualcuno, che servono a fare soldi, che con il giornalismo non hanno nulla a che fare, il lettore moderno deve distinguere e noi giornalisti dobbiamo starne fuori". (di Giannandrea Carreri) —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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