Perché il regime fascista soppresse l’antica Terra di Lavoro?

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Terra di Lavoro; credits: Wikipedia
Terra di Lavoro; credits: Wikipedia

Settecento anni. Per quasi settecento anni alcuni territori di Campania e Lazio sono stati un tutt’uno in quella che veniva chiamata Terra di Lavoro. Una regione, che per alcuni secoli ha incluso anche il Molise, che ha caratterizzato l’identità del nostro Paese dall’epoca del Regno di Sicilia a quella del regime fascista e che, sebbene non esista più sulla carta, continua ad essere matrice di un intimo senso di appartenenza tra le popolazioni – oggi amministrativamente divise – che la costituivano.

A dirla tutta, anzi, la storia di questo territorio è molto più antica e ne ha spesso ridisegnato i confini.

Terrae Leboriae – Inizialmente si parlava di Terrae Leboriae, Campi Leburini e, in sostanza, di quella che oggi definiamo Campania antica. Un primo riferimento si trova nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), ma non esistono altri documenti successivi e antecedenti al VII-VIII secolo che la citino. Intorno all’anno mille, il nome cambiò in Terra Laboris e i territori coinvolti cominciarono ad essere sempre più vasti: finché le carte geografiche (più o meno dal 1500 al 1700) iniziarono a riportare la dicitura Terra Laboris olim Campania felix.

Stemma della Terra di Lavoro; credits: wikipedia
Stemma della Terra di lavoro; credits: Wikipedia.

Perché felix?

Perché era una terra ricca, fertile, invidiata: alture e mare, corsi d’acqua e vulcani, seguiva il corso del lungo fiume Volturno, tant’è che il suo stemma si costituiva attraverso due cornucopie ricolme di frutti. Ma anche perché coinvolgeva un’area oramai differente da quella iniziale, che cominciava a comprendere diverse fette dell’odierno Lazio, necessitando, quindi, di un nuovo nome in cui identificarsi. Vide la sua massima estensione durante il Regno di Sicilia (XII secolo), grazie alle conquiste normanne, e in epoca Sveva (XIII secolo) e fu proprio in questo periodo che si cominciò a parlare di Terra di Lavoro: l’input fu la divisione amministrativa del territorio voluta da Ruggero II.

Si succedettero regni, dinastie, generazioni. Si accesero guerre, si inasprirono e acquietarono animi. La Terra di Lavoro, tra estensioni e riduzioni (in età aragonese venne perso il Contado del Molise), è rimasta a lungo imperturbabile testimone della storia, superando indenne persino la legge del 1806 di Giuseppe Bonaparte “Sulla divisione ed amministrazione delle province del Regno” e l’Unità d’Italia.

Terra di Lavoro; credits: Wikipedia
Terra di Lavoro; credits: Wikipedia.

La fine di un’era – Tutto era destinato a cambiare con il ventennio fascista: una provincia così grande non poteva essere controllata facilmente. E fu proprio per questo che per motivi di ordine pubblico, oltre che politici ed economici, la Terra di Lavoro – all’epoca estesa per oltre 5200 chilometri quadrati – fu definitivamente soppressa con il decreto del 2 gennaio 1927, seguendo l’idea di riconsiderare i territori in base al numero di abitanti. Il Duce, infatti, ripensò diversi centri organizzandoli in 17 nuove province.

I Mazzoni sono una piaga che sta tra la Provincia di Roma e quella di Napoli, terreno paludoso, stepposo, malarico, abitato da una popolazione che fin dai tempi dei Romani aveva una pessima reputazione, ed era chiamata popolazione di “latrones”. Vi do un’idea della delinquenza di questa plaga: nei cinque anni che vanno dal ’22 al ’26 furono commessi i seguenti delitti principali, trascurando i minori: oltraggi alla forza pubblica, 171; incendi, 378; omicidi, 169; lesioni, 918; furti e rapine, 2082; danneggiamenti, 404. Questa è una parte di quella plaga; veniamo all’altra parte, quella dell’Aversano […] Ho mandato un maggiore dei carabinieri con questa consegna: liberatemi da questa delinquenza col ferro e col fuoco! Questo maggiore ci si è messo sul serio. Difatti, dal dicembre ad oggi, sono stati arrestati nella zona dei mazzoni 1.699 affiliati alla mala vita e nella zona di Aversa 1.268. I podestà ed i combattenti di quella regione sono esultanti. Io ho qui un plico di telegrammi, lettere, ordini del giorno, documenti, con i quali la parte sana di quella popolazione ringrazia le autorità per l’opera necessaria d’igiene.

 Mussolini, discorso dell’Ascensione, 27 maggio 1927

Con terra dei Mazzoni, all’epoca, ci si riferiva a quella parte di territorio che dall’attuale Napoli nord conduceva verso Roma e, quindi, il Litorale Domitio – fino al Volturno ed oltre – arrivando al confine con il Lazio. Si trattava di un’area un tempo paludosa, bonificata dai Borbone nel secolo XIX e dagli interventi del Novecento, da sempre sede di allevamenti di cavalli e bufale. Il nome Mazzoni, in particolare, derivava proprio da Mazzonari, termine che indicava gli allevatori di bufale, muniti di un lungo e sottile arnese con una punta metallica, detto popolarmente mazzone, utilizzato per gestire la mandria.

Ma oltre quest’aspetto da politica interna, fu lo stesso Mussolini a parlare di “affetto per la metropoli napoletana” che doveva diventare “Regina del Mediterraneo“: in questo modo, infatti, riuscì ad ampliare la Provincia di Napoli, valorizzandola ed estendendone influenza e importanza, contemporaneamente operandosi per ridare il necessario spazio a Roma per rinnovare i fasti della Città Eterna.

Così incredibilmente e senza volerlo si è giunti alla ripartizione consacrata dall’Imperatore Augusto pochi anni prima dell’Era Cristiana. Con la nuova provincia di Frosinone che allaccia Napoli e Salerno a Roma, riappare la prima delle undici regioni auguste: Latium et Campania. La riforma Mussolini ha come perno Roma, la cui sfera d’attrazione va crescendo col tempo. Il Mezzogiorno guarda al Tevere. L’aver inteso questo fenomeno dell’Italia Romana è merito esclusivo del Fascismo.

Il Giornale d’Italia

La stessa tesi venne riportata ai gerarchi casertani, insoddisfatti e demoralizzati per la soppressione di Terra di Lavoro: “Ho dato a Napoli il suo retroterra, e Caserta sarà la sua Versailles“, rispose Mussolini, successivamente aggregando al casertano una serie di comuni circostanti come contentino (Casagiove, San Nicola La Strada, San Marco Evangelista e San Leucio).

Infine, i motivi economici: con la ripartizione dei territori, anche i debiti accumulati si ritrovavano divisi.

Terra di Lavoro fu, così, smembrata in cinque diverse province, nelle quali confluirono anche grandi centri come Nola, Sora e Gaeta: Napoli (102 comuni, 512mila abitanti), Frosinone (51 comuni, quasi 213mila abitanti), Roma e Latina (15 comuni, oltre 84mila abitanti), Benevento (16 comuni, quasi 40mila abitanti) e Campobasso (7 comuni, oltre 10mila abitanti).

Ma i confini, lo sappiamo bene, sono solo linee tracciate su un pezzo di carta.