Terrorismo, Ventura e Bergamin si sono consegnati alle autorità francesi

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Adriano Sabbadin
Adriano Sabbadin

La fuga di Luigi Bergamin e Raffaele Ventura, dopo gli arresti di sette ex terroristi rossi, ieri mattina, in Francia, è durata appena 24 ore. I due si sono presentati in mattinata alle autorità di Parigi per costituirsi, secondo fonti inquirenti citate dall’Ansa. L’operazione scattata ieri, che prevede l’estradizione, ha riguardato dieci persone condannate per terrorismo. Quindi, con Bergamin e Ventura che hanno deciso di consegnarsi, solo Maurizio di Marzio rimane al momento ricercato. Questa mattina è prevista la prima udienza per i sette fermati ieri: gli ex componenti delle Brigate rosse Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi, l’ex di Lotta Continua Giorgio Pietrostefani e Narciso Manenti, ex Nuclei armati contro il potere territoriale.

“È una buona notizia, si è costituito, vuol dire che ha capito, è un’ammissione. Adesso potrà scontare le proprie colpe”, commenta Adriano Sabbadin, il figlio del macellaio Lino Sabbadin, ucciso nel 1979 dai Pac, a proposito della decisione di Bergamin. Sull’operazione che ha visto la collaborazione tra Italia e Francia, Sabbadin ha aggiunto: “Io non ho mai avuto dubbi sulla giustizia italiana”.

L’iter si annuncia lungo, l’eventuale estradizione sarà possibile “non prima di 2 o 3 anni”, ha avvertito l’Eliseo. Dieci giorni fa, la telefonata di Draghi a Macron, nella quale è stata sancita in modo definitivo la disponibilità di Parigi a dare il via libera alla magistratura francese per esaminare le richieste italiane di estradizione. “Due fattori hanno concorso a questo esito – ha spiegato una fonte dell’Eliseo -, il fascicolo ormai giunto a maturazione e una relazione tra i due Paesi che si è fortemente consolidata. E in modo molto netto ora con Macron e Draghi. È un rapporto nel quale torna la piena fiducia, un momento storico delle nostre relazioni”.

Oggi dunque l’udienza davanti alla procuratrice Clarisse Taron, che ha in mano i fascicoli degli ‘italiens’. L’orientamento prevalente per questa prima seduta – dedicata semplicemente al provvedimento limitativo della libertà da applicare ai fermati – sarebbe stato quello di concedere i domiciliari a tutti, anche per la loro età piuttosto avanzata e per le cattive condizioni di salute di alcuni di loro. Ma la fuga dei tre che oggi sono diventati uno farebbe propendere il magistrato per un mantenimento del provvedimento di custodia proprio per il “pericolo di fuga”. Problemi particolari per Pietrostefani, che ha subito un trapianto di fegato, per la Petrella, che già nel 2008 fu salvata dall’estradizione dopo le gravi condizioni in cui finì per quello che Le Monde definì ‘lo sciopero della vita’, e per Alimonti, che vive con una moglie molto malata e probabilmente affetta anche da Covid.

Scontato che tutti i fermati, a domanda della procuratrice, risponderanno di non accettare l’estradizione. Spetterà quindi alla magistrata decidere. Se riterrà che vi siano i presupposti per estradarli, come appare probabile, la parola passerà poi ai processi veri e propri, che si svolgeranno nei prossimi mesi – caso per caso – nella Chambre de l’Instruction, con il rito tradizionale: avvocato, eccezioni di ogni tipo, rinvii per malattia, esame delle condizioni in cui si svolse il processo che li condanna in Italia e molto altro. Una volta che la Chambre avrà preso una decisione, l’imputato potrà fare ricorso in Cassazione quando la sentenza sarà divulgata. Questi giudici dovranno verificare se esistevano le condizioni corrette per concedere l’estradizione. Alla fine, toccherà al primo ministro firmare un decreto di estradizione, che però potrà essere a sua volta impugnato per un ricorso amministrativo davanti al Consiglio di stato. La strada, insomma, è ancora lunga.

Dal Fatto Quotidiano