Tommy Tuberville e i suprematisti bianchi: sorrisi di Trump, condanne di Biden

Tommy Tuberville
Tommy Tuberville (foto: usatoday.com)

Lei crede che un nazionalista bianco sia un nazista? Io non la vedo così. Per me un nazionalista bianco è un repubblicano di Trump”. Questa la reazione di Tommy Tuberville, senatore repubblicano dell’Alabama, uno degli Stati più conservatori e grande sostenitore dell’ex presidente, parlando con alcuni giornalisti a Washington.

In passato, gruppi di estrema destra votavano per il partito di Tuberville ma non venivano abbracciati in modo aperto perché c’era una certa reticenza a vedersi legati a individui con atteggiamenti esplicitamente disgustosi. Con l’elezione di Donald Trump però un certo linguaggio velato sugli estremisti di destra è divenuto completamente accettabile per i repubblicani. Auspicare idee che si riallacciano al razzismo, all’antisemitismo e alla superiorità dei bianchi è stato messo alla luce del sole senza nessuna paura. Trump ha in effetti legittimato questa visione abominevole mettendola al centro del Partito Repubblicano che in grande misura rimane nelle sue mani.

Si intravedono alcune posizioni contrarie a questa nuova faccia del Partito Repubblicano specialmente al Senato che rimane sotto la guida di Mitch McConnell, senatore repubblicano del Kentucky. Si tratta dell’establishment repubblicano che resiste anche se Trump le ha tentate tutte per togliere la leadership a McConnell sostituendolo con un senatore a lui fedele, senza però riuscirci. Alla Camera, però, l’ex presidente è riuscito a imporre il suo controllo mediante il supporto di Kevin McCarthy, parlamentare repubblicano della California, il quale sa benissimo che allontanarsi dall’ala ultra conservatrice significherebbe la fine della sua leadership alla Camera Bassa.

La paura di McCarthy di perdere la sua leadership e la sua sopravvivenza politica è alla base dell’ideologia suprematista e l’insicurezza dei bianchi che non si sentono più padroni del loro Paese. Questa insicurezza è sempre stata presente ma l’elezione di Barack Obama nel 2008, il primo presidente afro-americano, ha sottolineato il campanello d’allarme. I cambiamenti demografici che vedono i bianchi sempre in calo si aggiungono all’insicurezza del gruppo che ha dominato il sistema politico ed economico del Paese dagli inizi. Si prevede che nel 2050 solo il 47 percento della popolazione statunitense consisterà di bianchi mentre i gruppi minoritari avranno la maggioranza. L’America sta cambiando pelle e l’insicurezza per buona parte dei bianchi diventa sempre più palpabile.

L’elezione quasi fortuita di Donald Trump nel 2016 a causa del meccanismo dell’Electoral College ha ridotto ma non eliminato questa insicurezza. Trump si è confermato il presidente dei bianchi impauriti dai cambiamenti demografici, legittimando però un tentativo di ritorno al passato dove i bianchi dominavano. Nello scontro ideologico basato su questioni di razza lui non si è solo schierato con i bianchi, ma ha anche promosso toni battaglieri abbracciando i suprematisti. Si ricorda facilmente che Trump non condannò il rally Unite the Right (Uniamo la destra) tenutosi a Charlottesville, Virginia nel 2017. Subito dopo gli scontri che causarono 35 feriti e la morte di un individuo l’allora presidente dichiarò che “c’era brava gente” in ambedue le parti. Per Trump i nazisti, i membri del Ku Klux Klan, la gente con bandiere confederate che grida slogan razzisti e antisemiti, anti-musulmani sono accettabili. Inoltre i toni incendiari dell’ex presidente sia in campagna elettorale che durante i 4 anni alla Casa Bianca hanno delineato una linea politica alleata ai gruppi estremisti come i Proud Boys e gli Oath Keepers. Come abbiamo scritto in queste pagine in precedenza, i leader di questi gruppi sono stati condannati di sedizione per la loro partecipazione all’insurrezione il 6 gennaio del 2021. Trump ha promesso che se rieletto nel 2024 concederà la grazia alla maggioranza di loro.

Il relativo silenzio della stragrande maggioranza dei repubblicani per condannare le asserzioni di Tommy Tuberville è stato giustamente attaccato dal presidente del Senato Chuck Schumer, democratico di New York, qualificandoli come “completamente ripugnanti”. Anche Biden ha toccato il tema dei suprematisti e in un discorso alla Howard University, storica università afro-americana di Washington D. C., ha caratterizzato la “supremazia bianca” come “la singola e più pericolosa minaccia terroristica” per gli Stati Uniti. Da ricordare anche che Biden non si candidò alla presidenza nel 2016, ma gli incidenti di Charlottesville e la mancanza di condanna per gli estremisti di destra da parte di Trump lo ispirò a scendere in campo sconfiggendolo nel 2020.

Uno studio del Center for Strategic International Studies ha scoperto che il 6,4 percento di incidenti di terrorismo domestico è stato causato da suprematisti con legami con le forze armate. Per eliminare questo tipo di individui, Lloyd Austin, ministro della Difesa, ha iniziato un programma che cerca di identificarli e espellerli dalle forze armate.

Tommy Tuberville non è d’accordo asserendo che questi suprematisti bianchi meritano di restare perché sono “americani”. Lo sono, ma Doug Jones, senatore democratico dell’Alabama fra il 2018 e il 2021, riconoscendo che loro sono americani non li vede però come “patrioti” poiché non appoggiano il governo degli Stati Uniti. Non accettano una società americana diversa e fanno ricorso alla violenza per ottenere il tipo di Paese che vogliono, una Paese bianco che ignora la forza della diversità che rende grande l’America.

=============
Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.