Umbria docet

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Ci sono avvenimenti in politica che assumono un significato simbolico che va ben al di là delle sue reali dimensioni. È il caso delle elezioni regionali di domenica scorsa in Umbria dove la candidata del centrodestra Donatella Tesei ha vinto nettamente contro Vincenzo Bianconi espressione di Pd e 5Stelle.

La regione che ha dato i natali a San Francesco ha una popolazione simile a quella della nostra provincia e conta meno comuni.

Un po’ forzato dunque, se si guarda alla geografia, attribuire a questo test un valore nazionale. Se però si va a guardare nel dettaglio i numeri usciti dalle urne, si capisce che i leader politici non possono trascurare gli insegnamenti che giungonodalla terra umbra.

Innanzitutto l’Umbria politicamente, non è una regione qualsiasi. È una delle cosiddette “Regioni rosse”, appannaggio prima del Pci, poi dei Ds e del Centrosinistra. E quindi il passaggio avvenuto domenica è qualcosa di storico. Poi ci sono i numeri usciti dalle urne: la Tesei ha staccato il suo concorrente il “civico” Bianconi di 20 punti (57,6 per cento contro il 37,5 per cento): un trionfo il centrodestra e una disfatta per il candidato giallo – rosso. Tutto questo in una tornata elettorale che ha visto un aumento dell’affluenza alle urne di 9 punti rispetto a cinque anni fa. È, dunque, probabile che chi si era astenuto alle precedenti regionali abbia scelto la Tesei.

Salvini, anche questa volta, ha mostrato di avere fiuto condividendo il successo con gli alleati. Per il Centrosinistra e il Pd in particolare dall’Umbria arriva una sonora lezione relativamente alla selezione della classe dirigente e alla questione morale. Il voto anticipato dell’Umbria è stato determinato, infatti, dagli scandali dellasanità che hanno travolto parte della dirigenza del Centrosinistra. La corruzione è uno dei bubboni rispetto ai quali il nostro Paese non riesce ad avviare un reale ecredibile risanamento.

È evidente che una forza politica (il Pd) che punta a ritornare attraverso il voto degli italiani a governare il Paese non può prescindere da una selezione seria dei propri dirigenti e da una vigilanza rigorosissima rispetto alle situazioni di malaffare. Accanto a questo è evidente che troppe scelte (compresa l’alleanza tra M5S e Pd) appaiono più tattiche che strategiche e non poche volte calate dall’alto. E così gli elettori si ritrovano disorientati e frustrati. Un vissuto opposto al Centrodestra dove Matteo Salvini (soprattutto) e Giorgia Meloni (da non trascurare) tengono in pugno i rispettivi partiti e obbligano a un “adeguarsi nonostante tutto” Forza Italia, partito sempre più in debito di voti e di leadership.

Se il quadro non fosse abbastanza mosso, c’è ancora Italia Viva che, come era prevedibile, si pone come elemento destabilizzante all’interno di una coalizione traballante. Difficile fidarsi del #staisereno di renziana memoria.

A fronte di un centrodestra sovranista (ma i moderati sono scomparsi?) l’alternativa appare incerta e ben lontana dall’essere un’alleanza politica nel senso più pieno e vero del termine. In tutto questo resta poi l’incognita 5Stelle le cui diverse anime all’interno sono sempre più (giustamente) agitate: lo storico successo del 2018 sembra lontanissimo, anche se è passato solo un anno e mezzo. Da allora, infatti, il movimento di Luigi Di Maio ha collezionato solo sonore scoppole (nei partiti tradizionali – di centrodestra e centrosinistra – il segretario sarebbe già stato abbondantemente defenestrato). E sono alle porte nuove tornate elettorali: Emilia Romagna, Calabria, Campania. Per citare le più vicine. Vedremo se l’Umbria avrà insegnato qualcosa.