“Il Comune ha deciso di usare i soldi dei contribuenti per ricorrere al TAR contro il provvedimento del Ministero, adducendo risibili motivazioni come l’eccessiva limitazione alla pianificazione urbanistica. Quando è vero l’esatto contrario: il vincolo rende inapplicabili tutte quelle deroghe, regionali e nazionali, che a partire dal famigerato Piano Casa contravvengono gli indirizzi di pianificazione”. Così in un lungo post su Facebook il consigliere comunale di opposizione Ciro Asproso (Coalizione Civica) commenta la decisione del Comune di Vicenza, illustrata in una conferenza stampa due giorni fa, di ricorrere al Tar contro il vincolo della Soprintendenza su un’area di 12 chilometri quadriati che comprende Monte Berico e parte della Riviera Berica. “Purtroppo, i fatti parlano chiaro: il sindaco Rucco, a dispetto dei vacui annunci in favore dell’ambiente, si arruola a forza nel partito del mattone e si pone in aperto contrasto con quanti lottano per la difesa dei beni pubblici e dell’interesse collettivo” aggiunge ancora Asproso, che poi cita alcune delle motivazioni del ministero.
“Nel corso degli anni vi è stata un’intensa attività edilizia, connotata anche da interventi di vera e propria speculazione, al punto da “compromettere in maniera irreversibile alcuni dei caratteri tradizionali e storici del paesaggio locale. Ad aggravare tale situazione ha contribuito l’atteggiamento del Comune di Vicenza che non ha saputo o voluto salvaguardare in via preventiva e in maniera adeguata le caratteristiche identitarie e il patrimonio collettivo che aveva in custodia”. Queste, in estrema sintesi, le motivazioni che hanno spinto il Ministero per i beni culturali ad imporre un vincolo di tutela e valorizzazione paesaggistica per l’area del Monte Berico e della Riviera Berica settentrionale, nel tentativo di introdurre delle regole più stringenti ai processi di trasformazione urbanistica – commenta Asproso -. Non v’è alcun dubbio che un ruolo determinante nell’orientare la decisione del Ministero l’abbiano avuto le ben note vicende di Borgo Berga. Basti ricordare che: – L’inosservanza dell’accordo pubblico-privato ha comportato la mancata cessione al Comune di 20 mila mq di standard a verde. – La grave alterazione degli argini fluviali, ha permesso di fabbricare ad una distanza abbondantemente inferiore ai 10 metri dalle sponde del Retrone e del Bacchiglione. – La vecchia fabbrica del Cotonificio Rossi era posizionata ad un livello di piano campagna inferiore a quello dell’attuale complesso edilizio. Il che ha consentito alla proprietà di disporre di volumetrie ed altezze ben eccedenti rispetto a quelle indicate dal Piano originario, procurando un danno irreversibile all’ambiente e al paesaggio, come denunciato dalla delegazione internazionale dell’UNESCO. L’introduzione della salvaguardia paesaggistica avrebbe consentito quantomeno di ridurre il danno, stralciando il Lotto E ed impedendo di cementificare un’ulteriore porzione di territorio libero.
Invece, il Comune ha deciso di usare i soldi dei contribuenti per ricorrere al TAR contro il provvedimento del Ministero, adducendo risibili motivazioni come l’eccessiva limitazione alla pianificazione urbanistica. Quando è vero l’esatto contrario: il vincolo rende inapplicabili tutte quelle deroghe, regionali e nazionali, che a partire dal famigerato Piano Casa – conclude Asproso – contravvengono gli indirizzi di pianificazione”.