Di Paolo Rossi non voglio ricordare il campione. Quello lo conoscono tutti e bastano i suoi titoli a inserirlo fra gli dei del calcio: campione del mondo, pallone d’oro, capocannoniere del Mundial 82, della Serie A e della Serie B e vicecampione d’Italia con il Lanerossi Vicenza. Di Paolo preferisco ricordare il profilo vicentino, di calciatore e di uomo. Quarant’anni di vita sua, mia e nostra.
La storia vicentina di Paolo Rossi comincia nel luglio del 1976: il presidente Farina acquista la comproprietà di un attaccante di diciannove anni dalla Juventus, un’ala che ha mandato l’anno prima a farsi le ossa a Como e che ha il punto debole delle ginocchia, già operate tre volte di menisco. A Giussy lo ha consigliato Oscar Damiani, che lo ha notato nelle partitelle del giovedì a Torino.
Paolo arriva a Vicenza e deve chiedere a un passante dov’è via Schio 2, indirizzo della convocazione nella raccomandata della società. È quello dello Stadio Romeo Menti, quello in cui darà il via a una rapidissima e sfolgorante carriera. Durante il ritiro, la sliding door che gli cambia il futuro: il centravanti titolare, Alessandro Vitali, se ne va all’improvviso e Gian Battista Fabbri rimane senza un attaccante. È questo il momento del colpo di genio dell’allenatore biancorosso, che trasforma Paolo in un attaccante centrale assolutamente atipico per quei tempi, in cui il numero 9 è giocatore d’area, e ne sfrutta la velocità, la rapidità di esecuzione e l’estro per dargli un ruolo che non ha pari nemmeno nel calcio internazionale. Una metamorfosi di cui dovrà essere grato a G.B. non solo il calcio italiano ma addirittura il calcio mondiale.
Lui, che di toscano ha poco a parte l’accento, si vicentinizza rapidamente e si integra con la città. I vicentini, per indole non proprio accoglienti con i foresti ma che amano chi non se la tira, lo adottano non solo perché è un goleador ma anche perché ha l’aspetto (e lo è veramente e senza calcoli) del bravo ragazzo della porta accanto. Sorridente, alla mano, semplice. Resterà questo tutta la vita, anche quando diventerà un campione del mondo, quando sarà un uomo maturo, un imprenditore e uscirà dal calcio biancorosso. Paolo uno di noi, perfino quando la vita lo porterà lontano da Vicenza ma ogni suo ritorno sarà come se non fosse mai andato via.
C’è una foto che è un’icona di questo Paolo Rossi. Quella che lo ritrae in sella a una bicicletta da donna in una mattinata invernale mentre attraversa piazza dei Signori (foto Fabio Fontana). C’è tutto lui in quest’immagine: la sua semplicità, la sua immediatezza, il suo sguardo allegro, la sua appartenenza alla città che lo ha adottato.
Nei tre campionati biancorossi Paolo diventa una star mondiale, diventa Pablito (il soprannome è di Giorgio Lago, direttore del Gazzettino) nel Mondiale del 1978 in Argentina. Farina costruisce su di lui un grande progetto, trasformare il Lanerossi nella squadra egemone della Regione. Lo strappa alla Juventus mettendo in busta un’offerta miliardaria per la quota di comproprietà bianconera ed è ridicolmente attaccato dal miope e geloso mondo del calcio nazionale. I tifosi sostengono l’operazione sottoscrivendo un abbonamento biennale (sono 800 i milioni raccolti) con la sola garanzia della permanenza del bomber in biancorosso.
A questo punta gira la fortuna e il prodigio creato da Gian Battista Fabbri si sfalda altrettanto rapidamente di quanto è nato e cresciuto. Paolo si infortuna nella partita di andata di Coppa UEFA conto il Dukla Praga e rientra dopo un mese e mezzo. In precampionato si è infortunato anche Carrera e il suo ritorno in squadra è addirittura nella primavera dell’anno dopo. A sette giornate dalla fine del campionato il Lanerossi è salvo e invece, incredibilmente, retrocede.
Paolo Rossi dev’essere ceduto, in Serie B non ha senso che stia ancora a Vicenza. Ma nessuno vuole comperarlo, l’ostilità verso il Lanerossi e il suo presidente bloccano il mercato. L’unica porta che si apre è la cessione al Perugia, squadra che ha ricalcato pari pari il percorso del Lanerossi nel campionato 1978-1979.
Paolo lascia Vicenza, ma solo calcisticamente. La sua vita è ancora lì, dove si sposa e mette su famiglia. Ai vicentini interessa poco o nulla la sua carriera post biancorossa, salvo – ovviamente – la vittoria del Mundial 1982. La ridicola squalifica biennale per illecito sportivo non è ammissibile, i tifosi del Lanerossi, che ben lo conoscono, non credono che uno come lui si sia fatto coinvolgere da certi magliari. La girandola di squadre di cui veste la maglia negli ultimi anni di attività non intacca la intangibile vicentinità del numero 9 per antonomasia del calcio biancorosso, nemmeno quando si accasa nell’odiata Hellas.
Paolo continua a essere un vicentino a prescindere, patrimonio e simbolo solo di questa città, di cui è il testimonial più famoso al mondo, perfino più di Andrea Palladio. Quando smette di giocare, rientra stabilmente a Vicenza e diventa imprenditore costruendo eleganti palazzi in società con l’ex compagno e fraterno amico Giancarlo Salvi. L’identificazione fra Vicenza e il suo campione si approfondisce anche fuori dallo Stadio Menti. Lui è sempre il Paolorossi del 1976, disponibile e diretto, amico e amichevole, vicino alle vicende del calcio anche se volutamente dall’esterno.
Pochi anni fa lascia Vicenza e torna in Toscana per una nuova iniziativa imprenditoriale. Lo si vede poco in città ma la sua presenza intermittente non cambia nulla nei rapporti con amici e tifosi, ogni suo ritorno – anzi – è più caloroso e partecipato. È quasi scontato che rientri per la prima volta nel calcio biancorosso nel momento della rinascita dopo il fallimento. Ci mette la faccia e non può essere che lui a farlo.
Il 9 dicembre Paolo Rossi ci è stato tolto da un impensabile destino. Pochi giorni dopo la scomparsa di un suo compagno del Real, Ernesto Galli. Una coincidenza incredibile come quella con la morte di Diego Maradona, due settimane prima. Ma ai vicentini interessa poco questo risvolto, conta invece che se n’è andato uno di loro e la città ha perso un amico e un uomo di valore.