Baby pensioni, dal vicentino Rumor ad oggi. CGIA: “ci costano 7 miliardi all’anno, più di reddito cittadinanza e quota 100″”

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Spesso, negli ultimi tempi, parlando di spesa pubblica, si è sentito dire che reddito di cittadinanza e quota 100, due leggi del primo governo Conte, il cosiddetto governo “gialloverde” di M5S e Lega, pesano troppo sulla spesa pubblica italiana e che dovrebbero essere tagliate, anche in vista della gestione del Recovery Fund. Ma a pesare sul bilancio ci sono anche le baby pensioni, introdotte negli anni ’70 dal governo del vicentino Mariano Rumor.

Secondo la CGIA di Mestre le baby pensioni ci costano 7 miliardi di euro all’anno, più di reddito cittadinanza e quota 100. L’Ufficio studi della CGIA che ha “recuperato” i dati Inps riferiti ai pensionati baby presenti nel nostro Paese e li ha confrontati con la dimensione economica del reddito di cittadinanza e di quota 100. Due misure, queste ultime, che sono nel mirino dall’Unione Europea. Non è da escludere, infatti, che Bruxelles ci chieda di rivederle, in caso contrario corriamo il pericolo che una parte degli aiuti previsti dal “Next Generation EU” ci siano negati. Il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo spiega in un comunicato lo studio della CGIA: “Il termine baby pensionati è ovviamente informale, non ha alcun fondamento legislativo e abbiamo deciso di racchiudere in questa categoria coloro che hanno lasciato il lavoro prima della fine del 1980. In totale sono quasi 562 mila le persone che non timbrano più il cartellino da almeno 40 anni. Di queste, oltre 386 mila sono costituite in massima parte da invalidi o ex dipendenti delle grandi aziende. Se i primi hanno beneficiato di una legislazione che definiva i requisiti in misura molto permissiva, i secondi, a seguito della ristrutturazione industriale avviata nella seconda metà degli anni ’70, hanno usufruito di trattamenti in uscita dal mercato del lavoro molto generosi”.

“Dopodiché – aggiunge Zabeo – contiamo altri 104 mila ex lavoratori autonomi, oltre la metà proveniente dall’agricoltura, e solo una piccola parte, pari al 10,6 per cento del totale che corrisponde a poco meno di 60 mila unità, è formata, invece, da ex dipendenti pubblici. Ricordo che molti di questi impiegati hanno potuto lasciare definitivamente la scrivania dell’ufficio in età giovanissima, grazie alla legge approvata nel 1973 dal governo allora presieduto da Mariano Rumor”.