Biden completa l’agenda di Trump sull’Afghanistan: giusta mossa ma nessun dividendo politico

La firma dell'accordo di Doha il 29 settembre 2020
US representative Zalmay Khalilzad (left) and Taliban representative Abdul Ghani Baradar (right) sign the agreement in Doha, Qatar on February 29, 2020. [State Department photo by Ron Przysucha/ Public Domain]

Donald Trump spesso assumeva i suoi collaboratori guardando la Fox News, la rete di televisione conservatrice, scegliendo da coloro che rispecchiavano le sue idee. Il caso del colonnello in pensione Douglas MacGregor è tipico. Nel mese di aprile del 2020, l’allora presidente degli Usa lo vide in televisione e lo invitò alla Casa Bianca dopo avergli sentito dire che gli Stati Uniti dovevano andarsene dall’Afghanistan.

Subito dopo essere stato assunto come consigliere al presidente, MacGregor ricevette semplici direzioni in un foglio di carta da Trump ordinandogli che il suo compito era di “Andare via dall’Afghanistan”. Subito dopo il consigliere preparò una pagina di istruzioni che avrebbe fissato il ritiro dei soldati americani per il 12 gennaio 2021, proprio mentre Trump si apprestava ad uscire dalla Casa Bianca, a conclusione delle elezioni del 2020. Trump voleva riportare le truppe a casa al più presto ma poi si accordò con i talebani per il primo maggio del 2021. Questo accordo creò serie apprensioni nei vertici delle forze armate americane. Biden seguì lo stesso percorso tracciato dal predecessore rimandando però la data al 31 agosto.

In realtà era stato Trump a seguire la strada tracciata da Biden quando da vicepresidente di Barack Obama aveva raccomandato già dal 2009 di riportare a casa le truppe dall’Afghanistan. Nel suo libro “Promesse da mantenere” Biden reitera i consigli dati a Obama quando scrive che in Afghanistan “altri dieci anni non avrebbero ottenuto” risultati diversi. Obama non seguì il consiglio e nemmeno Trump nei suoi quattro anni da presidente riuscì a finire la guerra. Biden lo ha fatto. Una decisione giusta anche se gli è costata capitale politico a causa del modo affrettatissimo del ritiro, causato dal fatto che i soldati del governo afghano non hanno combattuto i talebani. Il presidente afghano Ashraf Ghani e i soldati al suo comando fecero un accordo coi Talebani che rese molto più rapido il loro controllo del Paese, cogliendo Biden di sorpresa. In effetti, senza il supporto americano il governo afghano si squagliò e il presidente Ghani abbandonò il Paese.

Trump non ha riconosciuto che il suo successore alla Casa Bianca ha fatto proprio quello che non era riuscito a lui. Con la sua tipica ipocrisia, l’ex inquilino della Casa Bianca ha dichiarato ai suoi sostenitori che Biden ha “consegnato una grande vittoria a tutti i nemici dell’America” riportando a casa “i grandi soldati dall’Afghanistan”. Anche Mike Pompeo, segretario di Stato nell’amministrazione di Trump, ha criticato l’azione di Biden, dimenticando ovviamente che era stato proprio lui a negoziare il ritiro, fissandolo per il primo maggio. Altri leader di ambedue i partiti hanno dimostrato il disappunto in particolare per le scene caotiche all’aeroporto di Kabul e ovviamente anche per la morte di tredici soldati americani a causa dell’attacco suicida dell’Isis-K.

MacGregor, però, l’ex consigliere di Trump, ha lodato il ritiro, asserendo in un’intervista alla Abc che la guerra equivaleva a “un’enorme perdita di tempo, soldi, risorse e vite umane”, concludendo che Biden ha avuto completamente ragione. Gli americani sono d’accordo secondo parecchi sondaggi anche se molto meno sul metodo del ritiro. Secondo il Pew Research Center, un think tank non partisan con sede a Washington D. C., il 54 percento degli americani approva il ritiro delle truppe ma solo il 42 percento sostiene che Biden abbia gestito bene la situazione. L’indice di gradimento di Biden è sceso e adesso il 44 percento approva il suo operato, 7 punti in meno degli ultimi sondaggi. Un recentissimo sondaggio della Cnn, però, ci informa che Biden riceve il 52 percento di approvazione, molto meglio del 37 percento di Trump a questo punto della sua presidenza.

Nel suo discorso alla nazione Biden ha spiegato le ragioni del ritorno delle truppe citando il successo straordinario delle evacuazioni (125 mila fra americani e afghani che avevano assistito le truppe). Ha anche asserito che non voleva essere il quarto presidente a rimandare al suo successore la patata bollente e che gli Stati Uniti non possono “costruire nazioni”. Ha anche reiterato i costi che secondo uno studio della Brown University hanno raggiunto più di 6 mila miliardi di dollari e hanno causato la morte di 7 mila americani.

Gli americani dunque hanno ripetuto quello fatto dai britannici i quali invasero l’Afghanistan per ben tre volte, poi i sovietici, e infine gli americani, arrivando alla conclusione che il Paese del Sudest asiatico è veramente “un cimitero di imperi”. Nei venti anni di presenza americana in Afghanistan il governo locale non è riuscito a controllare i talebani anche se bisogna ammettere che progressi sociali sono avvenuti, specialmente nelle grosse città e nella capitale Kabul. Con il ritorno al potere dei talebani e il loro annuncio del recentissimo governo provvisorio la situazione delle donne diviene preoccupante anche se molto è cambiato in venti anni.

Anche Biden dovrebbe preoccuparsi. Il ritiro delle truppe dall’Afghanistan gli è costato politicamente. Verrà dimenticato alla luce delle prossime elezioni di midterm del 2022 e quelle presidenziali del 2024. Agli americani importa la politica estera ma viene messa in secondo luogo alle questioni domestiche. Anche qui l’ultimo mese non promette bene per Biden. La pandemia, che era sotto controllo, ha ripreso gli aumenti dei casi positivi soprattutto dovuti alla variante Delta. Inoltre ci sono anche da affrontare i danni causati dagli uragani nel Sud del Paese, gli incendi nell’Ovest, e l’economia. Il numero dei posti di lavoro creati nei primi mesi dell’amministrazione di Biden era promettente ma nel mese di agosto solo 235 mila posti di lavoro sono stati creati invece dei 725 mila che gli economisti si aspettavano.

Nonostante tutto, però, Biden in futuro sarà riconosciuto come il presidente che mise fine ad una guerra iniziata da George W. Bush con ragioni molto dubbie. Questo conflitto è stato poi seguito da quello in Iraq, con la scusa delle armi di distruzione massiva possedute da Saddam Hussein che difatti non esistevano. L’attuale inquilino della Casa Bianca avrebbe però potuto anche insistere sull’insostenibilità delle spese militari non solo in Afghanistan ma in altre parti del mondo. Considerando il fatto che il 53 percento del bilancio Usa viene speso per la difesa, con approvazione bipartisan, difficile capire come non pochi politici americani continuino a dire che non ci sono fondi per le spese domestiche. Trump, nonostante tutti i suoi difetti, aveva intuito quest’idea ma non fece nulla al riguardo, eccetto strillare agli alleati, minacciandoli che dovevano pagare di più per la loro difesa. Biden ha perso un’opportunità per tracciare una rivalutazione delle spese militari totali. Dopotutto, però, Biden è un centrista, che quando si tratta di spendere per la difesa non si tirava e continua a non tirarsi mai indietro. Quanto tempo si potranno sostenere soldati americani sparsi in 150 Paesi del mondo? Non se ne parla perché potrebbe aumentare i sospetti che l’impero americano stia per finire?

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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