La misteriosa cisterna del “rospo idolatrato” all’interno delle mura ciclopiche dell’acropoli del Circeo

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Un'ipotesi tecnica per la cisterna del rospo idolatrato sul Circeo.
Un'ipotesi tecnica per la cisterna del rospo idolatrato sul Circeo. Autore del progetto: Arch. Gianfranca Ainone. Fonte: circei.it.

L’acropoli del Circeo, con le sue mura ciclopiche, rappresenta ancora un grande punto interrogativo per gli archeologi. Non ci sono certezze alle quali agganciarsi né per quanto riguarda il suo ruolo storico né a sostegno delle sue origini. Tutto è ancora al vaglio degli esperti che si contendono la verità a suon di ipotesi, a volte anche completamente contraddittorie fra loro. Ma c’è un piccolo mistero all’interno di quella imponente fortificazione che merita un capitolo a parte in questa lunga e articolata indagine: quello della cosiddetta cisterna del rospo idolatrato che si trova a circa 20 metri dalle mura a sud-ovest.

Le incertezze storiche – Di questa cisterna se ne fa menzione nel Forma Italiae“, il progetto fondato da Giuseppe Lugli nel 1923 con l’intenzione di redigere una Carta Archeologica d’Italia; una sorta di “catasto archeologico” che mira ad aiutare la ricerca storica e a tutelare l’eredità culturale dell’antico.

L'ipotetica cisterna del rospo idolatrato
Quello che resta dell’ingresso della cisterna. Fonte: circei.it.

L’apertura, dalla quale si intravede una struttura che si addentra nel sottosuolo, si apre all’interno di una piccola radura ed è chiaramente di costruzione umana: dall’esterno può sembrare un pozzo ma chi vi si è calato all’interno ha parlato di una vera e propria costruzione ipogea (cioè, sotterranea) costituita di un unico vano sagomato come un tronco cilindrico sormontato da un cono con, alla sommità, una bocca circolare di 60 centimetri di diametro e 80 di profondità. Minuscola, al punto da rendere difficile pensare che si trattasse di un ingresso per esseri umani.

Eppure, gli interni sono spaziosissimi: la base cilindrica è di 5 metri per 3; il tronco conico si eleva fino a 2 metri e mezzo, punto in cui, appunto, appare l’ingresso. L’opera è stata costruita con blocchi irregolari di pietra calcarea – incastrati fra loro a secco e tavolta sovrapposti a sbalzo – recuperati in loco.

Seguendo le indicazioni date nel “Forma Italiae”, alcuni appassionati hanno cercato tracce di questa struttura descritta minuziosamente ma i riscontri sono stati pochissimi; anzi, va detto che i testi che la menzionano (tra cui quello dell’archeologo francese Petit-Radel) spesso offrono sfumature e particolari contrastanti. Per qualcuno le pietre calcaree erano lisce e squadrate (Lugli), per qualcun altro era una cisterna atta a contenere acqua (Rodolfo Fonteanive), per qualcun altro ancora era semplicemente un agglomerato di detriti (Petit-Radel, fine Settecento inizio Ottocento) che meritava il nome di “cisterna del rospo idolatrato“.

Ma qual è, allora, la verità?

Due pozzi? – Analizzando i testi coinvolti, in realtà, si è capito che i riferimenti riguardano due pozzi diversi: oltre quest’apertura a pochi metri dalle mura del Circeo, infatti, ce n’è un’altra, sita sulla punta più elevata del promontorio (il “Picco di Circe“).

L'apertura della cisterna del rospo idolatrato
La volta della cisterna. Credits: Circei.it.

La particolarità, nel caso in oggetto, è proprio nella sua struttura, con le pietre sistemate ad incastro e senza malta, volta inclusa, in una sovrapposizione che ricorda le squame di pesce. Niente abbellimenti, niente accorgimenti tecnici che facciano pensare ad una tenuta stagna o a un’impermeabilizzazione e, quindi, ad una destinazione d’uso legata alla conservazione dell’acqua. Oltretutto, l’ingegneria romana era già molto avanti alla (presunta) epoca dell’acropoli (tra il terzo e quarto secolo a.C.), ma non si riscontra alcun elemento in comune con l’arte edificatoria dei pozzi per la raccolta delle acque piovane (o degli esuberi delle arterie idriche circostanti).

Anche la posizione della costruzione è peculiare: per più di metà è addossata ad una parete rocciosa, con un fronte di circa 120° seppellito da un riempimento in terra e pietrame di alcuni metri di spessore.

Un’ipotesi suggestiva – Sul ruolo di questo antico pozzo ipogeo con volta a thòlos (cioè, con base circolare ed esteso a cono nel sottosuolo) sono state formulate un’infinità di teorie, dall’utilizzo come serbatoio (anche non di acqua) alla funzione di tomba o luogo di culto. La disposizione dei suoi blocchi calcarei, però, non può non far venire in mente un altro grande mistero archeologico: quello di Stonehenge. E se i due siti avessero in comune un’intenzione astronomica?

D’altronde, si sa che in passato il cielo e le sue stelle erano non solo molto studiati, ma anche al centro della vita quotidiana e amministrativa di tutto il mondo, influenzandone le evoluzioni.

Su questa base storica, Mario Tocci ha fatto un’ipotesi plausibile, mettendola nero su bianco per “Circei.it”.

Partendo da una riflessione sul connubio tra potere temporale e religioso, che un tempo era indispensabile per “conquistarsi” il popolo, lasciando che poi l’amministrazione politica si dedicasse alle faccende pratiche, Tocci ha ricordato che erano proprio i sacerdoti che si occupavano di “prevedere” ed interpretare gli eventi astronomici; e questo, ovviamente, implicava anche studiarne le dinamiche. Perciò, ogni nuova città era dotata di un’area politica e di una religiosa che poteva inglobare luoghi sacri sia aperti che chiusi al pubblico: l’unico modo per mantenere un ascendente sul popolo era proprio quello di custodire il sapere. E, si sa, i posti proibiti sono sempre quelli più affascinanti, oggetto di leggende e storie oscure che si sono tramandate di generazione in generazione; posti in cui si diceva che l’isolamento, l’uso di sostanze psicotrope e la comunione tra pochi “eletti” portasse a stati di incoscienza e persino all’acquisizione di poteri divinatori.

Il solstizio d'estate sulla cisterna
L’ipotesi del solstizio d’estate sulla cisterna. Credits: circei.it/Mario Tocci.

L’ipotesi è che quel pozzo abbia rivestito proprio questo incredibile ruolo. Potrebbe, anzi, addirittura aver asservito una comunità religiosa a noi sconosciuta in calcoli astronomici e osservazioni della volta celeste.

Facendo una serie di (azzardate) premesse, Tocci dimostra come il pozzo, riportato ad un ipotetico stato originario, verrebbe investito dai raggi del sole durante il solstizio d’estate; raggi che arriverebbero sul suo fondo, costruendo delle geometrie particolari.

Vengono fatte anche altre simulazioni a base di fori atti a ricreare dei fasci di luce attraverso una “copertura” in pelle della cavità.

Un ragionamento suggestivo che darebbe alla cisterna del rospo idolatrato la funzione di “sacro orologio” dell’antichità. Ma non ci sono – al momento – conferme sulle quali agganciare certezze indissolubili.