Riparo Blanc: le testimonianze degli ultimi cacciatori-raccoglitori che popolavano il Circeo preistorico

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Riparo Blanc, ph: Razor1979.
Riparo Blanc, ph: Razor1979.

Che la preistoria sia di casa al Circeo è oramai assodato. Ci siamo già persi – e ritrovati – nelle testimonianze Neanderthal della Grotta Guattari, abbiamo frugato tra le antichissime stratificazioni della Grotta del Fossellone e fantasticato sugli animali che, centinaia di migliaia di anni fa, popolavano il circondario all’epoca dell’ultima grande glaciazione con i resti rinvenuti nella Grotta delle Capre. Ma c’è un altro luogo in cui vale la pena inoltrarsi perché capace di svelare nuovi segreti: è il cosiddetto Riparo Blanc, che prende il nome dal famoso paleontologo (nonché marito della nipote del barone del Circeo James Aguet) Alberto Carlo Blanc.

Geolocalizzazione – Percorrendo tutto il tracciato costiero del versante Quarto Caldo del Circeo, dalla parte finale di Via delle Batterie, spingendosi oltre il Faro, ci si imbatte in questo piccolo riparo in località “Cava d’Alabastro“, ai piedi di una falesia a 20 metri sul livello del mare. Il sito si trova a circa 20 minuti dal centro storico di San Felice Circeo ed è stato scavato per la prima volta negli anni ’60 dall’Istituto Italiano di Paleontologia Umana (ISIPU) di Roma sotto la direzione di Luigi Cardini e Mariella Taschini. Già in questa occasione, gli studiosi rimasero sbalorditi di quanto custodito in loco: nella porzione superficiale della sequenza stratigrafica, evidenze di epoca neolitica, come una singolare industria litica (cioè, di pietra lavorata) in ossidiana ricavata da piccoli ciottoli costieri; nel livello principale, oltre 30mila conchiglie di molluschi, in prevalenza marini. Un mare di conchiglie di epoca mesolitica, insomma, che confusero Marcello Zei (allievo di Blanc) quando individuò il riparo nel ’59, al punto da fargli credere che si trattasse di un’antica linea di riva, una spiaggia fossile correlabile al mare interglaciale.

Le scoperte – Blanc sarebbe morto l’anno dopo, ma ebbe il tempo di fare un sopralluogo, avvertito da Zei. Si rese conto che i molluschi erano stati “modificati” in una maniera che non poteva che essere umana, tramite fratturazione manuale: insomma, quell’incredibile quantità di conchiglie non era altro che un ammasso di resti di pasti dell’epoca mesolitica.

Gli studiosi si divisero: non tutti concordarono con la teoria del paleontologo, non riscontrando gli elementi tipici della cultura di quel periodo. La datazione al carbonio-14, però, ha permesso di risalire ad una forbice temporale abbastanza precisa: tra 8500 e 9500 anni fa, in una rappresentazione culturale di quello che, nel basso Lazio, devono essere stati il Mesolitico, appunto, e la cultura Gravettiana-Epigravettiana (la cultura preistorica diffusa in gran parte dell’Europa).

Secondo un’interpretazione più moderna, il Riparo Blanc identificherebbe un sito specializzato e molto probabilmente stagionale per la raccolta estiva e primaverile dei molluschi marini di scoglio: gli strumenti litici, quindi, non sarebbero motivo di confusione ma, anzi, rappresenterebbero proprio il mezzo per l’estrazione dei frutti di mare dalle pareti rocciose.

Stesso tipo di destinazione d’uso è stata spiegata per i punteruoli e becchi su scheggia rinvenuti in loco: molti gusci, infatti, presentano un foro sicuramente ricreato attraverso una lavorazione dell’uomo; è stato riscontrato sui circa 1200 esemplari di “Columbella rustica“, molluschi privi di interesse alimentare e probabilmente utilizzati come ornamento. Curioso anche che reperti del genere siano stati ritrovati persino in Svizzera, come se questi oggetti di abbellimento abbiano “viaggiato” tra le mani dei cacciatori-raccoglitori.

Ma intorno alla stratificazione calcarea mesozoica che faceva da spartiacque tra le due “fasi” del sito c’era anche di più.

Sepolture, resti ceramici e frammenti ossei di mammiferi, pesci, rettili e uccelli. Elementi che rendono ancora più consistente l’ipotesi della relazione del luogo con il reperimento di cibo proveniente dal mare, più che dalla terra, grazie alla posizione privilegiata. In quel riparo roccioso, i nostri antichi antenati hanno mangiato, lavorato e fatto scorte, imparando a realizzare strumenti per la pesca sempre più perfezionati; in una parola, hanno vissuto, anche se probabilmente soltanto nelle stagioni più calde, portando avanti una dieta molto ricca e variegata millenni prima dell’introduzione dell’agricoltura.

Al lavoro nel Riparo Blanc, 2018. Fonte: Parco Nazionale del Circeo.
Al lavoro nel Riparo Blanc, 2018. Fonte: Parco Nazionale del Circeo.

I nuovi scavi – Il riparo è stato intitolato a Blanc proprio da Marcello Zei.

Le indagini sono ripartite nel 2016 grazie all’impegno del dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università Sapienza di Roma. Da un’area profonda 3 metri sono emersi altri resti ossei, litici e conchiglie, ma anche manufatti di selce e tracce di carbone. Per la prima volta, infatti, sono stati documentati degli accumuli di conchiglie associati a focolari collegati –  si pensa – a singoli episodi di occupazione.

Nel 2018 si è anche tenuta un’interessantissima conferenza stampa nel giardino di villa Blanc per illustrare alcuni degli incredibili risultati raggiunti nel corso dei primi due anni di ricerche.