Crisi governo, scenari se salta il Conte ter: Gentiloni premier, Draghi ministro Economia e Conte commissario Ue

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Paolo Gentiloni
Paolo Gentiloni

Ha dato mandato ai suoi ministri di abbassare i toni. «Non fornite alibi a Italia Viva». Ecco Giuseppe Conte, alla vigilia del giorno della verità. Tatticismo esasperato, voglia di sopravvivere, tentazione di vendicarsi. Vuole restare immobile, attendere che sia Matteo Renzi a compiere la prima mossa, lì sul Colle. Se oggi il leader di Italia Viva dovesse dire che sì, va bene un “Conte ter” a patto che si ridiscuta il programma e pure la squadra di governo, allora il premier accetterà di trattare. Lo chiamerà, lo incontrerà. Gli concederà più di qualcosa. Toccherebbe al politico di Rignano, a quel punto, sfilarsi dal tavolo. Rischiando di irritare il Quirinale e di perdere per strada senatori del gruppo. Non a caso, quando a sera qualcuno gli domanda «Matteo, sicuro che non metterai il veto su Conte?», lui risponde: no.

Dire che si lanciano il cerino a distanza è riduttivo. In Conte c’è equilibrismo e voglia di ribaltare una situazione disperata. L’avvocato se la giocherà comunque, fino alla fine. Ha ottenuto il via libera politico di Nicola Zingaretti a riaprire un canale con Renzi. Ma a una condizione: che i numeri siano ampi. Tradotto: che l’ex premier non risulti determinante. E quindi, testa bassa e trattative serrate con i “costruttori”. Si confronta a lungo con Luigi Vitali, berlusconiano di lungo corso. E a sera, ottiene una boccata d’ossigeno importante: il senatore passa in maggioranza, secondo gli avversari del premier addirittura ottenendo la garanzia di diventare sottosegretario alla Giustizia. È il terzo azzurro, potrebbero seguire altri due o tre (tra loro, Tiraboschi e Minuto). È lo schema di Palazzo Chigi: trattare con Renzi, ma da posizione di forza. «Non farò un governo tanto per farlo, devo preservare questa esperienza ». Deve preservare anche la sua immagine pubblica per uno scenario elettorale che – a giorni alterni considera possibile, auspicabile, quasi desiderabile.

Tocca proprio a Renzi, allora, reagire. Bolla le mosse di Conte sui responsabili gravissime, è a un passo dal dichiarare: «Volete andare avanti così? Anche il Pd vuole questo? Perfetto, fate pure da soli, auguri». Sa che è meglio restare in partita, in modo da orientarla. Ma anche che non chiudere a Conte significa permettergli di ricevere un incarico e sedersi a trattare.

Le premesse sono pessime. Continuavano a esserlo anche ieri sera, quando al Senato si spargeva la voce di un nuovo contatto telefonico tra Renzi e Matteo Salvini. Il leader di Iv lamenta tutt’altro, «no, Conte non mi ha chiamato, anche se mi aspetto una telefonata». E il fatto che il cellulare non squilli significa per lui che forse il premier non ha deciso di riaprire veramente la trattativa. Se però alla fine dovessero comunque sentirsi, vedersi per ragionare di un ter, le condizioni di Italia Viva sarebbero quelle di sempre: la testa di Alfonso Bonafede e quella di Lucia Azzolina, una nuova legge sulla prescrizione, il Mes, le Infrastrutture, la Tav, il Ponte sullo Stretto.

Conte potrebbe concedere, nei limiti del possibile. Ad esempio, sarebbe disposto a favorire una staffetta al ministero della Giustizia tra Bonafede e Andrea Orlando. Cambierebbe inoltre la legge sulla prescrizione. Sarebbe disponibile a offrire ai renziani il ministero delle Infrastrutture. Se però Renzi decidesse di rompere, allora il terreno sarebbe sempre lo stesso: il Mes. Su quel punto l’avvocato non può cedere. Gli esploderebbe il Movimento. Così come non regalerà a Iv il ministero dell’Economia. E non perché il Pd è disposto alle barricate per Gualtieri, semmai perché il Nazareno vuole affermare il principio che dei ministri del Pd decide il Pd.

Per Conte, aprire un negoziato significa guadagnare tempo e muoversi parallelamente anche sul fronte dei centristi. Tenere l’arcinemico incollato al tavolo significa pure determinare una spaccatura in Italia Viva, nel caso in cui fosse Renzi a tirarsi fuori da un accordo. Ancora tattica, esasperata. E operazioni atte a destabilizzare l’avversario. Nel quartier generale renziano, ad esempio, continua a circolare l’ipotesi di uno scambio di casacche di altissimo livello: Paolo Gentiloni premier, Conte commissario europeo. Di più: il leader sarebbe disponibile a sostenere uno schema che vede anche Mario Draghi ministro dell’Economia. Sul modello di Carlo Azeglio Ciampi, trampolino per l’elezione al Quirinale.
Per uno strano gioco di incastri, lo scenario meno ingarbugliato è invece quello che passa da un “no” secco di Renzi sul nome di Conte. A quel punto, scatterebbe il piano B, quasi come una legge della fisica. Mezzo M5S salirebbe sulle barricate, «Conte o elezioni». Lo farebbero gli ultragovernisti, ma anche – paradosso gli antigovernisti. La speranza del premier è sempre la stessa: riportare la partita al punto di partenza, mostrarsi ancora come l’unico punto di equilibrio possibile, raccogliere un numero sufficiente di “costruttori”, fare a meno di Renzi. Conte pronto a fare concessioni su cantieri giustizia e squadra, ma non è convinto di ricucire. La pista suggerita dai renziani: l’ex capo Bce al Tesoro.

Tommaso Ciriaco su Repubblica