Il doppio dissesto di Banca Popolare di Vicenza (BPVi) e Veneto Banca (qui “Banca Popolare di Vicenza. La cronaca del processo”, il libro/documento sul primo grado da noi pubblicato, e su ViPiu.it tutte le udienze di I° e II° grado dei due processi, ndr) ha comportato perdite per circa 13.5 miliardi di euro, a carico di 210.000 azionisti per l’azzeramento del valore delle azioni (11 miliardi), nonostante 4 miliardi di patrimonio immessi negli ultimi tre anni a Vicenza e Treviso e incluso il doppio aumento di capitale per due miliardi e mezzo complessivamente sottoscritto dal fondo Atlante I (le cui quote maggiori erano detenute da Intesa Sanpaolo e Unicredit e, poi, diventato, insieme al quasi gemello Fondo Atlante II, gestore di NPL), dopo aver portato a 10 centesimi il valore dei singoli titoli delle due ex Popolari venete.
Prosegue, con questa terza parte, una serie di articoli (qui tutti, ndr) per ricostruire l’accaduto in maniera sintetica, “qualitativa” ma anche quantitativa, per lasciare una traccia complessiva e comprensibile, anche se non esaustiva perché troppe cose tribunali e Commissione di Inchiesta non hanno forse considerato con la dovuta attenzione oppure sono stati limitati nel farlo dai loro vincoli giuridici e istituzionali.
Riprendiamo la “narrazione” dopo la I parte (“Il doppio dissesto di Banca Popolare di Vicenza (BPVi) e Veneto Banca, un flop ‘diretto’ da 13.5 mld“ e la II parte (“Crediti facili, aumenti di capitale con baciate, controlli inadeguati).
Se, a partire dal 2014 e soprattutto dal 2015 è cresciuto il deterioramento della qualità del credito, per gli effetti della crisi economica sulle imprese affidate e per la volontà delle due banche di sostenere il territorio, il credito esplicitamente in conflitto d’interessi, fenomeno di per sé grave e preoccupante, rappresenta una quota percentuale non elevata del totale.
Ma, come detto nella crisi di BPVI e di VB sono determinanti due aspetti specifici: la determinazione del prezzo delle azioni e le “operazioni baciate”, nate per “gonfiare” il patrimonio dei due istituti, ma particolarmente rilevanti per la Popolare Vicentina.
Sin dalle prime ispezioni emergono per entrambe le banche le prime criticità sul meccanismo di fissazione del prezzo delle azioni – è questo l’argomento di cui ci occupiamo in questa III parte -, basato su un processo non codificato, svincolato da collegamenti con le performance reddituali e privo del parere di esperti indipendenti.
In riferimento a BPVi, nel 2011 la Banca, al fine di conformarsi alle prescrizioni di Banca d’Italia irrogatele in esito ad una ispezione compiuta nel 2009, adottò delle linee guida per la valutazione del valore delle azioni e decise di riservare ad un esperto esterno un parere, sia pure non vincolante, in merito.
Il prezzo delle azioni è costantemente cresciuto nel corso degli anni successivi (arrivando a euro 62,5 euro per BPVi nel 2011 e a 40,75 euro nel 2013 per Veneto Banca, che anch’essa si affidava a valutazioni esterne di riferimento) ma, nell’ambito delle rilevazioni eseguite da BCE nel 2015, verrà constatata non solo una applicazione solo parziale delle linee guida adottate, ma anche e soprattutto la permanenza di un disallineamento tra il rendimento implicito dell’azione BPVi e la redditività ordinaria della Banca, che aveva accresciuto in misura rilevante l’esposizione di quest’ultima a rischi operativi e reputazionali, inerenti, tra l’altro, i reclami degli azionisti aventi ad oggetto la sovrastima del prezzo dell’azione.
Si consideri, tra l’altro, che gli Aumenti di Capitale (“AUCAP”) compiuti dalla Banca nel 2013 e nel 2014, indotti da Banca d’Italia per incrementare il patrimonio di vigilanza, erano stati effettuati in base al medesimo meccanismo di determinazione del valore/prezzo delle azioni.
Con particolare riferimento all’AUCAP 2013 ed all’approvazione del relativo prospetto informativo da parte di Consob, è emerso che quest’ultima non aveva ricevuto notizia da Banca d’Italia delle debolezze patrimoniali della Banca, talché aveva ritenuto che l’informativa fornita ai risparmiatori fosse esaustiva.
Anche per quanto riguarda Veneto Banca, Banca d’Italia effettuava a suo carico alcuni rilievi in ordine al meccanismo di fissazione del prezzo delle azioni nel 2009, invitandola ad adottare apposita normativa interna e ad affidarsi al parere di un esperto esterno, invito a cui Veneto Banca si conforma nel 2010.
Il prezzo dell’azione di VB assunse valore crescente negli anni successivi, risultando “incoerente” con la effettiva redditività aziendale ed anche col contesto economico complessivo, sia in rapporto ai valori riferiti alle banche operanti nel mercato regolamentato (in quanto molto più elevato) che ai valori riferiti a quelle operanti in mercati non regolamentati (in quanto superiore alla media).
Anche in questo caso, la determinazione del prezzo delle azioni ha influenzato gli AUCAP compiuti dalla Banca negli anni 2013, 2014 sollecitati da Banca d’Italia per incrementare il patrimonio di vigilanza ma risultati, in esito ad accertamenti successivi, connotati da diverse criticità.
Con particolare riguardo all’AUCAP 2013, nel corso delle audizioni dei rappresentanti di Banca d’Italia e Consob presso la Commissione d’inchiesta, è emerso che lo scambio di informazioni intercorso tra le due Autorità non ha, sulla base di quanto appurato ex post, consentito l’esaustiva individuazione dei rischi connessi alla situazione della Banca che ha influenzato i provvedimenti approvativi del prospetto informativo.
In conclusione nonostante la Banca d’Italia sia intervenuta più volte sulla determinazione del prezzo delle azioni per ottenere che i due intermediari si dotassero di processi adeguati e di criteri obiettivi di fissazione del prezzo, quest’ultimo è rimasto sovrastimato fino a tutto il 2016.
Segue…
Avv. Fulvio Cavallari, presidente di Adusbef Veneto
Giovanni Coviello, direttore di ViPiu.it