Grotta Guattari: le nuove evidenze scartano l’ipotesi dei Neanderthal cannibali

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Il Circeo dei Neanderthal
"Il Circeo dei Neanderthal"; credits: Pro Loco San Felice Circeo.

Stando a quanto gli studiosi hanno scoperto nella Grotta Guattari di San Felice Circeo, questo particolare angolo del basso Lazio deve aver ospitato un vero e proprio focolare di Neanderthal strutturato; e non solo. Oltre ai reperti fossili appartenenti a una decina di questi ominidi, infatti, in quell’antro scavato nella roccia sono state rinvenute ossa di animali, tra cui abbondanti resti di iene e di altri mammiferi come l’uro, il grande bovino estinto nel Seicento.

Ma è stato un dettaglio ad incuriosire e a lasciare aperto, per qualche tempo, un interrogativo: i Neanderthal praticavano il cannibalismo? E, se sì, era qualcosa a cui ricorrevano in extremis o, addirittura, un’usanza comune e diffusa?

I Neanderthal di San Felice Circeo
I Neanderthal di San Felice Circeo; credits: Repubblica.

Tutto è partito da quel famoso ritrovamento fortuito del 1939: durante alcuni lavori, degli operai si ritrovarono davanti una grotta rimasta sconosciuta e sepolta per almeno 50mila anni; merito di una frana (forse causata da un terremoto), che aveva isolato nel tempo e nello spazio quell’incredibile finestra sul nostro antico passato. Oltre quelle pietre rimosse per caso c’erano un cranio in ottimo stato di conservazione, privo di due porzioni ossee in corrispondenza dell’area orbitale destra e del margine del foro occipitale, e due mandibole. Il resto è storia: il paleontologo Alberto Carlo Blanc – di cui ci siamo ritrovati a parlare più volte perché è a lui che si devono tantissime scoperte archeologiche locali – si fiondò sul posto e cominciò ad organizzare quegli scavi che avrebbero riportato i Neanderthal nel nostro tempo.

L’ipotesi del cannibalismo – Furono proprio quelle parti mancanti nel cranio a far sorgere i primi sospetti su un ipotetico cannibalismo. Si formularono varie teorie, ricorrendo alla comparazione con una collezione di crani provenienti dalle tribù antropofaghe della Melanesia e pensando ad antichi e macabri rituali; ma la verità era molto più semplice, in realtà, da immaginare. E l’indizio era proprio lì, sul “luogo del delitto”. Erano i resti di quelle iene.

D’altronde lo sappiamo bene: quel loro aspetto un po’ inquietante, dovuto ai denti sempre esposti come in un ghigno alla Joker, è il cardine sul quale si fonda la loro abitudine di nutrirsi di resti di animali già cacciati; molte specie di iene, anzi, vanno proprio a caccia di carcasse!

Non sorprenderebbe, quindi, che antichi esemplari di questi mammiferi si siano cibati anche di cadaveri di Neanderthal. A conferma di questa ipotesi, i segni di denti di iena constatati sulle ossa ritrovate nella grotta. Mentre gli studiosi erano alla ricerca di altri indizi a suffragio definitivo di questa interpretazione storica, però, l’affascinante e lugubre teoria dei “Neanderthal cannibali” ha cominciato ad incuriosire appassionati e lettori, trovando ampio respiro su diverse testate, incluso il New York Times.

In molti si sono anche chiesti come tutto questo potesse spiegare le inumazioni neandertaliane scoperte recentemente, tra cui quella (2013) di un anziano sdentato e claudicante che veniva accudito dal suo clan, sepolto 50mila anni fa a La Chapelle-aux-Saints. Si trattava di abitudini mutuate dai Sapiens, con cui si sa che i Neanderthal hanno a lungo convissuto, o di qualcosa di più personale? E il cannibalismo sarebbe soltanto una teoria strampalata o parte di un rituale con cui gli affetti più cari facevano “vivere” i propri defunti attraverso il loro corpo? O, ancora, questi ominidi erano semplicemente così primitivi da non possedere alcun aspetto spirituale/sentimentale?

La conferma definitiva – Dopo 80 anni, i riflettori si sono definitivamente eclissati su questa storia proprio negli ultimi mesi. Dal 2019, l’antro più misterioso del Circeo è interessato da una campagna di scavi condotta da Mario Rolfo, docente di archeologia preistorica dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata, in concerto con la soprintendenza archeologica delle province di Latina e Frosinone: secondo le ultime evidenze, la Grotta Guattari sarebbe stata “semplicemente” una dispensa delle iene. Erano loro, insomma, le padrone di casa, che sgranocchiavano lì i resti di carcasse che trovavano in giro e portavano nel loro rifugio. I segni di rosicchiamento, infatti, non sono stati riscontrati soltanto sul cranio (e su un femore) neandertaliano, ma anche sulle altre ossa rinvenute in loco. Secondo Rolfo, quel foro nel teschio sarebbe stato praticato per raggiungere il cervello.

Il cranio neanderthal ritrovato nella Grotta Guattari
Il cranio neanderthal ritrovato nella Grotta Guattari; credits Pro Loco San Felice Circeo.

Quello che ancora non si sa, invece, è il ruolo che questi animali hanno avuto nella morte dei Neanderthal: li hanno uccisi loro? O si sono solo cibati di loro resti ritrovati in giro? Per quanto siano “pigre” e “spazzine”, in effetti, è perfettamente ipotizzabile che le iene abbiano potuto cacciare gli esemplari più vulnerabili, magari malati, bambini o anziani. Non si sa nemmeno se la Grotta Guattari sia stata abitata prima dai Neanderthal e, successivamente, da questi antichissimi selvatici.

“Dobbiamo considerare che nel nostro mestiere quello che ci troviamo sotto gli occhi è sempre il frutto dell’ultima ‘mano’ intervenuta. Potrebbe quindi essere stato l’uomo ad aprire il foro occipitale e la iena a finire di sgranocchiarlo, oppure potrebbe essere stata la iena stessa ad aprirlo per assicurarsi un cibo dalle alte qualità nutrienti, oppure ancora potrebbe semplicemente trattarsi di una rottura dovuta al caso. Stiamo indagando. Al momento l’unica cosa certa è che abbiamo un femore mangiato da una iena, che su quell’osso ha lasciato persino l’impronta dei denti. D’altra parte sappiamo che le iene amano rosicchiare le parti terminali delle ossa lunghe perché sono molto ricche di calcio e questo serve al loro metabolismo. È uno dei tanti interrogativi che ci auguriamo di sciogliere, la soluzione di questi enigmi sarà fondamentale per ricostruire la storia del popolamento dell’Italia dal profondo passato ad oggi”.

Mario Rubini, direttore del servizio di antropologia della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Lazio, all’ANSA.

Si cercherà di dare una risposta anche a tutte queste domande, ma sarà un po’ più difficile: se, da un lato, l’ipotesi Alberto Carlo Blanc è stata messa a tacere, dall’altro si è riscontrato che sono ancora tantissimi i segreti che è in grado di rivelare quella cavità rimasta così a lungo sconosciuta. Negli ultimi due anni, infatti, sono state portate alla luce aree fino ad oggi inesplorate, compresa un’altra piccola cavità che si allaga nei mesi invernali, pietre scolpite, ossa con segni di tagli e persino bruciate che testimoniano il grande nucleo di Neanderthal che doveva vivere in questi luoghi tra 100mila e 50mila anni fa. Gli esemplari di ominidi ritrovati, in effetti, non sono tutti tra loro contemporanei: ecco perché Rolfo ha parlato di “una banca dati di 60mila anni“.

Sicuramente uno dei siti paleolitici più importanti d’Europa e del mondo di cui sentiremo ancora a lungo parlare. Gli studi, al momento, proseguono con l’analisi del DNA estratto dai reperti che si spera possa offrire nuove informazioni sullo stile di vita di questi ominidi.