“Il costo della transizione ecologica”. Il metano, tra riscaldamento globale e decisioni alla Cop26

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Le emissioni di metano arrivano principalmente dall'agricoltura e dall'allevamento
Le emissioni di metano arrivano principalmente dall'agricoltura e dall'allevamento

“Il metano ti dà una mano” diceva uno spot degli anni ‘80. Ma non è proprio così. Allora, dopo la crisi petrolifera del ‘73, era il carburante più economico. Ora però il prezzo è salito. Ma, nonostante questo, ormai siamo abituati a vedere il metano come una risorsa piuttosto pulita. Eppure è il gas serra che causa almeno il 30% del riscaldamento globale, nonostante a pressione ambientale sia incolore e inodore. Tanto da essere il primo tra i gas serra ad essere regolamentato dagli accordi della Cop26 la settimana scorsa. Un centinaio di paesi infatti hanno firmato per ridurre le emissioni del 30% entro il 2030. (qui tutti gli articoli della nostra rubrica “Il costo della transizione ecologica”)

Metano: peggio della CO2

L’Economist il 30 ottobre scriveva che tagliando le emissioni di metano a metà si potrebbe abbattere la temperatura mondiale di 0.2-0.3 gradi. Rispetto all’anidride carbonica, il metano provoca un riscaldamento per molecola addirittura 28 volte superiore alla CO2. Insieme al protossido di azoto, poi, è capace di causare un aumento di temperatura 265 volte più intenso. Il settore che produce più metano di tutti è quello dell’agricoltura e dell’allevamento.

Calcolando che nel mondo sono allevati quasi un miliardo di capi di bestiame, l’effetto del metano emesso dagli allevamenti equivale all’emissione di due miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Solo l’allevamento di ruminanti e le colture di riso producono oltre la metà delle emissioni di metano, che, infatti, sono destinate a salire proporzionalmente all’aumentare del fabbisogno di carne della popolazione mondiale.

Cop26

Proprio per questo, l’attenzione durante la Cop26 è caduta anche sul metano. Come secondo obiettivo raggiunto dal summit sul clima, dopo lo stop alla deforestazione, c’è, quindi, quello di ridurre le emissioni di questo gas del 30% entro il 2030. L’accordo è stato sottoscritto da 80 Paesi, ma non da Cina e India. Il Global Methane Assessment aveva lanciato l’allarme già a maggio con un report delle Nazioni Unite. Anche secondo lo studio, il metano sarebbe responsabile del 30% del riscaldamento globale: dai livelli pre-industriali, la sua presenza nell’atmosfera è raddoppiata.

L’Onu spiega che nel prossimo ventennio la riduzione annuale dovrebbe essere pari a 180 milioni di tonnellate. Questo potrebbe evitare almeno 255 morti premature, 775 mila visite ospedaliere legate all’asma, 73 miliardi di ore di lavoro perso a causa del caldo estremo e 26 milioni di tonnellate di perdite di raccolti all’anno. Lo studio ha messo in evidenza che i tre settori che emettono più metano di tutti sono l’agricoltura, quasi il 40%), i combustibili fossili (35%) e i rifiuti (20%).

Il Pnrr prevede 57 miliardi da investire sulla transizione ecologica. Oltre 2 miliardi di questi andranno all’idrogeno, che può essere verde se deriva dalle fonti rinnovabili oppure se l’idrogeno viene prodotto direttamente dal gas è idrogeno blu. Il Pnrr inizialmente non specificava su quale dei due avrebbe puntato la transizione energetica, ma poi ha aggiustato il tiro. I tecnici della Commissione europea hanno bocciato alcuni investimenti nell’ex Ilva di Taranto perché contenevano idrogeno blu. Questo gas, infatti, è tutt’altro che “green”. Sarebbe responsabile di oltre un terzo delle emissioni di metano prodotte.