Israele, Rafah nel mirino anche senza armi Usa. Netanyahu: “Avanti da soli”

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“Facciamo da soli”: Israele non si ferma, l’operazione militare a Gaza è destinata a proseguire e Rafah rimane nel mirino, anche se gli Stati Uniti non invieranno più armi.

”Se dobbiamo restare soli, resteremo soli”, ma ”combatteremo con le unghie e con i denti” perché ”siamo determinati e siamo uniti per sconfiggere i nostri nemici e coloro che vogliono farci del male”, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel videomessaggio diffuso su ‘X‘ in vista del Giorno dell’Indipendenza che si celebra il 14 maggio, ”75 anni fa. Eravamo pochi contro molti”. Mentre ”oggi siamo molto più forti”, ha proseguito il premier israeliano.

La posizione assunta dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, non sembra condizionare i programmi di Israele. Il presidente americano ha affermato che Washington non invierà più armi a Israele se l’operazione a Rafah, dove sono rifugiati circa 1,5 milioni di palestinesi, avesse luogo. Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno ”armi a sufficienza per le missioni pianificate, anche per Rafah”, ha spiegato portavoce delle Idf, Daniel Hagari.

”Le Idf dispongono di armi per le missioni che stanno pianificando, e anche per le missioni a Rafah. Abbiamo ciò di cui abbiamo bisogno”, ha detto. Hagari ha quindi sottolineato che ”gli Stati Uniti hanno finora fornito assistenza in materia di sicurezza allo Stato di Israele e alle Idf durante la guerra in un modo senza precedenti”. Inoltre, il capo di stato maggiore delle Idf, il generale Herzi Halevi, parla ogni giorno con il capo del Centcom Usa, il generale Michael Erik Kurilla. ”Anche quando ci sono disaccordi tra noi, li risolviamo a porte chiuse”, ha detto Hagari.

L’operazione a Rafah appare più vicina dopo l’ennesima fumata nera nell’ultimo round di colloqui al Cairo. Funzionari israeliani, citati da Canale 12, hanno fatto riferimento a “differenze inconciliabili” con Hamas, mentre le rispettive delegazioni hanno lasciato la capitale egiziana ed anche il direttore della Cia, William Burns, rientra negli Stati Uniti. Israele chiede di escludere Rafah da un eventuale accordo, secondo quanto ha riportato l’emittente Nbc, citando quattro funzionari americani ed un ex al corrente dei colloqui. Secondo le fonti, il governo Netanyahu si rifiuta di accettare un’intesa a meno che non possa andare avanti con le operazioni militari a Rafah, anche nel caso di tregua.

La Casa Bianca, intanto, continua il pressing su Netanyahu. “Distruggere Rafah non porterà a raggiungere l’obiettivo di Washington e Tel Aviv di sconfiggere Hamas a Gaza”, ha dichiarato John Kirby, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, spiegando che gli Stati Uniti hanno proposto a Israele ”metodi diversi per fare pressione su Hamas”. Ovvero, ”esistono modi migliori per sconfiggere ciò che resta di Hamas a Rafah rispetto a una grande operazione di terra”.

Il presidente Biden e il suo team “sono stati chiari per diverse settimane sul fatto che non supportiamo un’importante operazione di terra a Rafah, dove più di un milione di persone si stanno rifugiando senza un posto sicuro dove andare”, ha aggiunto Kirby, evidenziando la necessità di fornire aiuto alla popolazione. “Vogliamo che tutta l’assistenza umanitaria continui a passare attraverso il valico di Rafah e tutti gli altri valichi il più presto possibile”, ha detto ancora. Gli Stati Uniti, ha spiegato, hanno chiesto agli israeliani di riaprire il valico e loro hanno accettato, ma senza fornire una tempistica. Da due giorni nessuno aiuto è entrato dai valichi con il sud della Striscia di Gaza, come ha detto il direttore per la Palestina di World Food Programme (Wfp), Matthew Hollingworth, spiegando che ”il nostro magazzino principale non è accessibile. Nessun aiuto è entrato attraverso i valichi meridionali in due giorni”. Con un post su ‘X’, Hollingworth ha spiegato che ”solo un panificio funziona ancora. Le forniture di cibo e carburante a Gaza dureranno solo 1-3 giorni. Dopo di che, le nostre operazioni si fermeranno”.

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