Lavoro minorile e Covid-19, Save the Children: rischio sfruttamento lavoro minorile, gravidanze e matrimoni precoci per minori paesi più poveri

Le bambine e le ragazze le più colpite, vanno a scuola il 22% in meno rispetto ai coetanei maschi. 

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Lavoro minorile
Lavoro minorile

Oltre 10 milioni di minori rischiano di non poter tornare a scuola e di aggiungersi ai 258 milioni che già non avevano accesso all’istruzione prima della diffusione del virus. Rischio di aumento dei matrimoni precoci (+ 2,5 milioni nei prossimi 5 anni) e delle gravidanze (+ 1 milione nel 2020) per bambine e ragazze. L’Organizzazione chiede ai leader mondiali di dare priorità alla spesa per l’istruzione per un ritorno a scuola in sicurezza e di sostenere il piano di vaccinazione globale 

Sposa bambina in Africa occidentale
Sposa bambina in Africa occidentale

Alla vigilia della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – evidenzia come durante la pandemia di Covid-19, la perdita di giorni di scuola abbia esposto bambine, bambini e adolescenti al rischio di sfruttamento del lavoro minorile, matrimoni precoci e gravidanze.

Difatti, a causa della pandemia i minori dei paesi più poveri hanno perso il 66% in più di giorni di scuola rispetto ai coetanei che vivono nei paesi più ricchi. Una condizione che peggiora per le bambine e le ragazze che nei paesi più poveri hanno perso, in media, il 22% in più di giorni d’istruzione rispetto a bambini e ragazzi.

Secondo le stime di Save the Children, oltre 10 milioni di minori rischiano di non poter tornare a scuola e di aggiungersi così ai 258 milioni che già non avevano accesso all’istruzione prima della diffusione del virus. Ad esempio, in Sud Sudan, una recente analisi condotta da diverse organizzazioni sull’impatto del Covid-19 sull’istruzione mostra che in alcuni stati del paese oltre il 27% dei minori non è tornato a scuola: circa il 39% degli insegnanti ha affermato che non tutti i loro studenti sono tornati in classe.

Questa la denuncia dell’Organizzazione che in una nuova analisi rivela che in alcuni dei paesi più poveri del mondo, durante la pandemia di Covid-19, i minori hanno perso fino al 20% dei loro giorni scolastici, senza considerare che in alcuni paesi si aggiungono le chiusure delle scuole a causa dei conflitti. Sebbene tutti i bambini del mondo abbiano dovuto affrontare un anno di chiusure e interruzioni della scuola, per i ragazzi dei paesi più poveri l’impatto è stato di gran lunga maggiore in quanto già prima della pandemia avrebbero trascorso meno tempo a scuola.

“Come in tutte le crisi, i bambini sono le principali vittime della pandemia e la nostra analisi dimostra che quando si tratta di chiusure scolastiche, più il paese è povero, maggiore è l’impatto. Purtroppo, le bambine e le ragazze hanno maggiori probabilità rispetto ai coetanei maschi di perdere la scuola in modo sproporzionato, poiché troppo spesso le ragazze lasciano la scuola a causa di matrimoni precoci, gravidanze o lavoro” ha dichiarato Inger Ashing, CEO di Save the Children International.

I dati dimostrano che la percentuale di scolarizzazione persa nel corso della vita per le ragazze è generalmente maggiore rispetto ai ragazzi. Nei paesi a basso reddito, le ragazze hanno perso in media il 22% di giorni in più di scuola rispetto ai coetanei maschi. Le ragazze risultano ancora svantaggiate, anche se in misura minore, anche nei paesi più ricchi (dove hanno perso oltre il 3% d’istruzione rispetto ai ragazzi). Essere fuori dal sistema scolastico può cambiare completamente la vita di bambine e ragazze, sottolinea Save the Children. Lo scorso anno, l’Organizzazione ha rilevato un drammatico aumento di matrimoni precoci e gravidanze in età adolescenziale, stimando 2,5 milioni di ragazze in più a rischio di matrimoni precoci nell’arco di cinque anni e un aumento fino a un milione delle gravidanze adolescenziali nel 2020.

Basti pensare che in Guinea, i minori hanno perso in media il 22% circa di giorni d’istruzione, di cui i maschi hanno perso in media il 15% circa, mentre le femmine addirittura il 39%. Un trend che si conferma anche in altri paesi come il Burkina Faso, dove i giorni di scuola persi sono il 20%, di cui il 14% per i maschi e il 19% per le femmine; in Afghanistan la media è di quasi il 13%, con il 9% per i maschi e il 21% per le femmine.

Karina, una ragazza del Sud Sudan di 17 anni, è in terza media, ma a causa della pandemia non è andata a scuola. “La preoccupazione più grande è che le ragazze che non hanno frequentato la scuola… sono costrette dai genitori a sposarsi. E se ti costringono a sposarti, non avrai un’istruzione migliore. La tua educazione si fermerà qui” dice la ragazza. “Da grande voglio fare il medico. Sarò libera grazie all’istruzione che mi sta mostrando come sarà la vita”.

L’Organizzazione sottolinea, inoltre, che questa analisi potrebbe essere una stima al ribasso poiché i dati globali disponibili non considerano i giorni persi a causa della chiusura parziale delle scuole.

L’analisi non include poi l’apprendimento a distanza, un dato che aumenterebbe ancor di più il divario tra i paesi ad alto e basso reddito. Quella a distanza è una modalità di apprendimento che non può però compensare la perdita di giorni di scuola, poiché andare a scuola significa per i bambini ridere, imparare, mangiare, giocare e crescere. Inoltre, andare a scuola permette loro di essere protetti da varie forme di abuso e sfruttamento in quanto non solo il loro apprendimento ma anche il loro benessere è monitorato dagli insegnanti.

L’Organizzazione ha rilasciato i dati in vista del G7 nel Regno Unito, in cui si discuterà il piano di ripresa dalla pandemia, tra cui il piano per il rientro a scuola. Aumenta la pressione sui leader del G7 affinché sostengano un piano di vaccinazione globale per meglio proteggere tutto il mondo dal Covid-19, aiutando così a riportare in carreggiata l’istruzione dei minori.

Per affrontare la più grande emergenza educativa dei nostri tempi, Save the Children chiede ai leader del G7 e agli altri governi di impegnare 5 miliardi di dollari per la Global Partnership for Education per i prossimi cinque anni e di lavorare tempestivamente per una copertura vaccinale globale contro il Covid-19; chiede inoltre ai governi nazionali di aumentare il budget per l’istruzione. I ministri dell’istruzione devono definire delle roadmap chiare affinché tutti i bambini rientrino a scuola in sicurezza quando sarà il momento e migliorino la propria istruzione.

“Soprattutto nei paesi a basso reddito, dove i giorni di scuola sono molto meno e dove c’è meno accesso all’apprendimento a distanza, è fondamentale che i bambini tornino a scuola non appena sia possibile. I paesi in cui, in proporzione, i bambini hanno perso più giorni di scuola sono quelli in cui i tassi di vaccinazione contro il Covid-19 sono generalmente bassi. Spetta ora ai leader del G7, i maggiori donatori al mondo, impegnarsi concretamente per trasformare in realtà gli obiettivi sottoscritti nella Dichiarazione del G7 sull’istruzione femminile e impegnarsi per la Global Partnership for Education. Inoltre, i paesi più ricchi devono finanziare e condividere tempestivamente i vaccini e fare tutto il possibile per garantire un accesso equo ai vaccini ai paesi più poveri. La nuova generazione deve finalmente essere messa al centro” ha aggiunto Inger Ashing.

Il 1° giugno Save the Children ha lanciato la campagna “100 Days of Action”, che vedrà migliaia di bambini in oltre 50 paesi del mondo – grazie al supporto di Save the Children, partner e sostenitori – prender parola nel corso di 100 giorni per dire ai leader che i bambini si stanno rivolgendo a loro affinché sostengano e finanzino la loro istruzione, senza lasciare nessuno indietro.

Oltre a finanziare l’istruzione, Save the Children sottolinea l’importanza di preparare scuole, bambini e insegnanti per un ritorno sicuro a scuola e all’apprendimento, migliorando gli interventi non strettamente farmaceutici nelle scuole come l’areazione, l’acqua e i servizi igienico-sanitari.

*Nome modificato per proteggere l’identità