Come cambia il lavoro: comunità e imprese si interrogano al secondo appuntamento dell’associazione “Per una Grande Vicenza”

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Come cambia il lavoro, convegno di Per una grande Vicenza
Come cambia il lavoro, convegno di Per una grande Vicenza

Che anche il mondo del lavoro stia attraversando una fase di profondo e radicale cambiamento è ormai sotto gli occhi di tutti. Ultimamente, poi, questo fenomeno si è accentuato a causa della pandemia e del conflitto nel cuore dell’Europa, eventi che stanno rivoluzionando relazioni, ritmi e organizzazione dei processi produttivi, incidendo in maniera seria e preoccupante sulle stime di una auspicata ripresa economica.

Che cosa sta succedendo dunque ai vari soggetti sociali che interagiscono con i protagonisti dell’economia, come vanno letti i segnali di insofferenza da parte di molte fasce di lavoratori, in particolare tra i più giovani, come si devono riorganizzare, soprattutto culturalmente, le aziende del Nordest, per riprogettare strategie e priorità future?

Come cambia il lavoro. La comunità e il ruolo delle imprese” era il tema che è stato proposto dall’associazione “Per una Grande Vicenza” – la cui nota pubblichiamo – nel secondo incontro dopo la propria presentazione pubblica di 20 giorni fa (nel primo era stato affrontato il problema del caro-bollette)svoltosi nell’Auditorium dei Carmini a Vicenza venerdì pomeriggio.

Sotto la lente dei relatori, il modello attuale delle imprese e il loro ruolo sociale nell’era delle grandi dimissioni: una nuova stagione, inedita e preoccupante, che registra l’allontanamento volontario di professionisti dai luoghi nei quali si mettono a terra progetti economici anche innovativi, con particolare incidenza tra le fasce d’età più giovani e quindi promettenti.

Da mesi, infatti, popolano le pagine dei quotidiani gli appelli insistenti degli imprenditori e commercianti, in questi giorni in particolare del mondo del turismo e della ristorazione, che offrono opportunità di impiego desolatamente inevase. Come non bastasse, non pochi trentenni lasciano il posto fisso, mentre i ragazzi non prendono in considerazione i classici lavoretti che tradizionalmente erano offerti come opportunità per affacciarsi sul mondo del lavoro. Di fatto, si è detto all’incontro, è in atto un ripensamento generale del rapporto di equilibrio tra vita privata e lavoro.Cosa dunque sta succedendo?

In chiave locale sono stati affrontati questi temi mettendo a confronto testimoni e protagonisti provenienti da esperienze tra loro diverse: Francesca Masiero, presidente di PBA SpA e docente universitaria; don Luigi Maistrello, cappellano del carcere di Vicenza e fondatore della cooperativa Elica; Maurizio Zordan, amministratore delegato della società benefit Zordan S.r.l.

Secondo Francesca Masiero è indubbio che, dopo l’ultima crisi, abbiamo scoperto come economia, società, democrazia, Chiesa abbiano scopi e obiettivi differenti, per molti versi, e non di rado, in competizione fra di loro. Dopo l’euforia della globalizzazione, ora le aziende ritornano ad investire in Italia, alla ricerca di qualità e probabilmente anche di economicità, ma si trovano in crisi di personale con competenze qualificate, difficili da contrattualizzare se non con un maggior impegno da parte delle aziende nei loro confronti, e non solo o sempre, di carattere economico. Occorre infatti saper offrire prospettiva ai propri collaboratori, declinando una speciale legge di reciprocità e di dialogo nella quale l’imprenditore è in grado di proporre una propria idea che viene assunta e fatta propria dal collaboratore, che quindi la trasforma in una struttura di lavoro e di produzione.

Altrettanto deve accadere con i giovani, sottolinea Francesca Masiero: devono essere messi nelle condizioni di portare la loro cultura all’interno dell’azienda. Per questo motivo va anche ripensato il ruolo della scuola, che non deve formare limitandosi a finalizzare il sapere trasmesso ai singoli ambiti dell’azienda, ma deve formare e accrescere il sapere allenando i giovani ad apprendere e a generare cultura. In caso contrario, si formeranno professionisti di domani che ripeteranno pedissequamente quanto gli è stato inculcato, senza la voglia di migliorare e di sondare strade nuove.

Secondo don Gigi Maistrello, chi si occupa di amministrare la vita civile e quella economica, è sempre più tentato di cercare il miracolo, mutazioni veloci, di essere il fautore di cambiamenti in grande velocità. Il mondo si cambia, ha detto don Maistrello, se lo si con-crea insieme, attraverso il lavoro che traina il cambiamento, a patto che sia giustamente remunerato, mentre in Italia oggi è fanalino di coda in Europa in fatto di retribuzioni. L’impresa, poi, dovrebbe recuperare un caposaldo che guida le cooperative, ovvero la capacità di vivere relazioni significative tra colleghi.

Altro punto di forza del mondo del volontariato è lo stretto rapporto con il territorio, con cui sempre più vanno definiti specifici partenariati, così come anche le parrocchie, ha segnalato don Maistrello, devono rivedere il loro modo di fare formazione, a volte incline a manifestarsi con tratti di potere, e puntare alla crescita etica del lavoratore e, in definitiva, di tutta la persona.

Per Maurizio Zordan, infine, abbiamo assistito negli ultimi anni ad una rapida specializzazione dei ruoli all’interno dell’organizzazione del lavoro, laddove l’imprenditore ha saputo garantire accentuate crescite in ogni fase della produzione ma anche dei successi economici, contribuendo inconsapevolmente a generare evidenti disarticolazioni all’interno della società, che poi si è manifestata nella crisi del capitalismo, nella smisurata crescita del debito pubblico, nella costruzione di ingenti accumuli di risorse in pochissime mani. Una situazione che non può durare e che sta già dando evidenti segni di criticità proprio in questi mesi: se è vero che siamo alla vigilia di pesanti selezioni all’interno del mondo del lavoro, è anche vero che la via d’uscita passa attraverso la partecipazione dei lavoratori alle scelte strategiche delle aziende. E magari recuperando tante professionalità che richiedono manualità specifiche: al 40% dei lavoratori tedeschi, corrisponde appena il 10% di quelli italiani.

Per quei lavoratori, soprattutto giovani, recentemente individuati con l’acronimo Neet, ovvero quanti non hanno né cercano un impiego e non frequentano una scuola né un corso di formazione o di aggiornamento professionale, il lavoro manuale di raffinatezza elevata potrebbe essere la soluzione alla loro rassegnata situazione di inattività e di disinteresse verso il mondo del lavoro.

Cambia il mondo del lavoro ma, in definitiva, alcune soluzioni per non restare tagliati fuori si intravvedono, purché si abbia il coraggio di guardare in avanti con occhi liberi da schemi o da preconcetti.

Per una Grande Vicenza