10 febbraio, dalla Memoria al Ricordo: e la giornata per il futuro?

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Vittime delle foibe, è istituzionale Il giorno del ricordo
Vittime delle foibe, è istituzionale Il giorno del ricordo

Non posso dire che non me lo sarei aspettato, anche perché questo stillicidio di “Eh, ma voi?”, “Eh, ma il PD?”, questo esercizio ripetuto di evitamento di responsabilità, di spostamento dell’attenzione su altro, che qualcuno ha definito efficacemente come “Benaltrismo”, è diventato uno sport nazionale, praticato anche a livello governativo, per cui non si poteva non praticare sul Giorno del Ricordo.

Ebbene, sapevo che dopo il mio articolo sulla Giornata della Memoria del 27 gennaio sulla commemorazione delle vittime della Shoah e delle persecuzioni dei nazisti ai danni non solo degli ebrei, ma anche di zingari, disabili, protestanti e comunisti, che si presentava come una riflessione caratterizzata da un tono pressoché pessimistico sulla possibilità del genere umano di progredire a partire dalla comprensione dei meccanismi della storia, come molti argutamente hanno notato, qualcuno avrebbe puntualmente obiettato: “Eh, ma i morti causati dai comunisti?”, “Eh, ma perché non scrivere anche nella Giornata del Ricordo per le vittime delle Foibe?”.

Ecco, poiché lo prevedevo, poiché in Italia anche i morti devono passare dal giudizio bipartisan, avevo già previsto di tributare un’analoga commemorazione alle vittime delle Foibe per il Giorno del Ricordo del 10 febbraio, ribadendo a me stesso, prima che agli altri, che se stiamo a separare le vittime con il bisturi dell’appartenenza alla causa politica, la lezione di storia proprio non l’abbiamo imparata e a questo punto penso che le speranze di spiegarla e di comprenderla vanno sempre più assottigliandosi.

Tuttavia, ci provo, brevemente, a spiegare ai lettori che la Giornata del Ricordo venne istituita nella sola Italia nel 2004 per commemorare le vittime delle Foibe dietro proposta di Roberto Menia, figlio di esule istriana, quindi personalmente toccato e informato sulle vicende che videro scontrarsi i fascisti italiani da una parte e i comunisti titini dall’altra. Tuttavia, si dà il caso, lo si dice per dovere di cronaca, che il Menia fosse egli stesso, sin da giovane, militante nel Movimento Sociale Italiano, quello che raccolse l’eredità del Partito Nazionale Fascista, ormai fuori legge in Italia dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, e fosse, sempre il Menia, uno strenuo oppositore del Trattato di Osimo, quello inerente la spartizione di Trieste, per cui nel 1991 pensò bene di recarsi in Jugoslavia per ritrattare i confini del nostro Paese, e, infine, occorre ricordare la circostanza secondo la quale, sempre il Menia, fosse contrario alle politiche multiculturali adottate a partire dal dopoguerra e conclusesi negli anni ’70, finalizzate ad armonizzare i rapporti tra le comunità italiane e slovene a Trieste e Gorizia, riprendendo quella che fu la politica di Mussolini, il quale attraverso i suoi militari e funzionari civili mirava alla «fascistizzazione accelerata delle regione, anche se, in cambio, non offrivano alla popolazione neppure la cittadinanza italiana a pieno titolo, ma soltanto l’ambigua qualifica di cittadino per annessione», come ricorda Angelo Del Boca in Italiani brava gente?

Lo stesso Del Boca in quest’opera, che dovremmo far leggere nelle scuole per cominciare a fare seriamente un po’ di Controstoria, smontando qualche mito, compreso quello della totale responsabilità dei tedeschi nelle nefandezze di carattere etnico, ricorda che già nel febbraio 1945 la Jugoslavia aveva inviato quattro relazioni alla Commissione Crimini di Guerra delle Nazioni Unite per denunciare che gli invasori italiani tra il 1941 e il 1943 avevano, nella sola provincia di Lubiana, fucilato 1000 ostaggi, ammazzato proditoriamente oltre 8000 persone e deportato in campi di concentramento oltre 35.000 uomini, donne e bambini. Nel clima generale, e non giustificato, non giustificabile, da cui dovremmo prendere le distanze una volta per tutte, di odio etnico per il diverso, torno a mettere in evidenza questo aspetto, perché è su questo che dobbiamo riflettere, una volta smantellato il fascismo, la violenza balcanica nel momento di maggior forza del regime titino poté prendere il sopravvento e procedere, a sua volta, con la spirale della violenza nei confronti degli italiani meticci, trucidati e gettati all’interno di fosse comuni naturali, caratteristiche depressioni del territorio carsico, le Foibe.

Detto ciò, la Giornata del Ricordo, che oggi commemoriamo, fu votata dal Parlamento italiano, anche se non all’unanimità, e resta, a dovere, una commemorazione italiana, mentre la Giornata della Memoria, già istituita in Italia nel 2000, venne designata come commemorazione di carattere internazionale dalla Risoluzione 6017 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2005 e, in quanto tali, non sono comparabili. Tuttavia, al di là del dato storico, volutamente scarno di interpretazioni, anche se capisco bene che anch’esso oggi, in epoca di post-verità, potrebbe essere soggetto non tanto a confutazione, quanto all’accusa di essere espressione dei poteri forti che complottano contro il popolo, quello che meraviglia è che tutte queste tragedie dettate dell’odio etnico, dal razzismo, dalla violenza che cala dall’alto e che supinamente la gente assimila e da un giorno all’altro è pronta a trucidare il suo vicino, non ci hanno insegnato ancora nulla.

Sorprende constatare che, al di là delle mere sfumature lessicali tra Giornata della Memoria e Giornata del Ricordo, l’attenzione sia ancora molto concentrata sul passato, su una storia che appare sempre più una selezione arbitraria e sommaria di fatti da tramandare, smarrendone il senso generale, ma soprattutto senza guardare al presente con l’intenzione di costruire un progetto comune e pacifico per il futuro. Se deve avere un senso la commemorazione di tutte le vittime, sia quelle della barbarie nazi-fascista sia quelle della spietatezza comunista, cui potremmo aggiungere tutte quelle di ogni radicalismo religioso, è necessario prendere posizione come società civile, come singoli soggetti portatori di diritti e doveri politici, nel rifiutare ogni meccanismo che inneschi la violenza, anche semplicemente a partire dal linguaggio che usiamo quotidianamente.

Chiedere irrealisticamente a ciascuna vittima prima di morire, al posto delle ultime volontà, se intende essere annoverata tra quelle ricordate per la Giornata della Memoria o per la Giornata del Ricordo, mi sembra un’operazione così povera che dovrebbe essa stessa innescare un movimento di rivolta contro ogni forma di pensiero rammemorante, di un pensiero che si nasconde nel passato, perché tale è la sua natura, se noi non l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle, e invece attivare una progettualità rispetto alla società che vogliamo costruire; dobbiamo fare uno sforzo di responsabilità per pensare a cosa vogliamo lasciare ai nostri figli e attivarci, nei limiti delle possibilità di ciascuno, per cui talvolta sarebbe sufficiente anche solo un cambiamento di mentalità prima di arrivare a chiedere di accogliere in casa propria gli immigrati, come la retorica fallace mette in evidenza, per realizzare una comunità di esseri viventi più equa e attenta alla dimensione prettamente umana di ogni singola vita, che si prenda cura dell’altro progettandone insieme il futuro su questa Terra.

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Michele Lucivero
Laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Bari e poi in Forme e Storia dei Saperi Filosofici presso l’Università degli Studi del Salento, dove ha conseguito anche il Dottorato di Ricerca in Etica e Antropologia. Storia e Fondazione. Ha conseguito anche il Diploma di Scienze Religiose presso l’Istituto “Italo Mancini” dell’Università degli Studi di Urbino. Abilitato all’insegnamento di Filosofia e Storia e specializzato nella Didattica per le Attività di Sostegno presso l’Università di Padova, attualmente è docente di ruolo nella scuola pubblica. Dirige con Michele Di Cintio la collana Pratiche Didattiche e Percorsi Interculturali presso la casa editrice Aracne di Roma, all’interno della quale ha pubblicato e curato diversi volumi di taglio didattico su argomenti storici, filosofici, antropologici e sociologici. Dopo aver trascorso gli ultimi dieci anni a respirare il profumo del muschio montano vicentino dal 2018 è tornato a bearsi dell’aroma della salsedine pugliese. Giornalista pubblicista da giugno 2021