Le “montagnelle” scauresi: le dune (di un tempo) del litorale laziale

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Le "montagnelle" scauresi. Anni '20/'30, Lido Aurora.

Il litorale laziale possiede una lunghissima tradizione turistica e commerciale articolata in sontuose ville romane, lotte di conquista e fiorenti porti. La “grande” storia è quella che più spesso si trova descritta in libri e raccolte tematiche, ma quella che vogliamo raccontare oggi è una “piccola” storia. Qualcosa che soltanto chi è del posto – e magari qualche appassionato – può conoscere e tramandare a sua volta.

È la cronistoria delle “montagnelle” di Scauri e delle dune delle spiagge laziali in generale.

Un paesaggio costiero dunale – L’entrata in scena del cemento ha sicuramente cambiato i connotati di moltissimi skyline italiani, ma gli scenari costieri laziali hanno patito moltissimo una serie di decisioni prese e maturate in favore della transitabilità, della comodità… e del dio denaro.

Molti scauresi ricordano ancora le spiagge sorte intorno o a ridosso delle “montagnelle”, come le chiamavano: delle vere e proprie dune che hanno a lungo identificato gli orizzonti della Riviera di Ulisse in fotografie e cartoline che, ancora oggi, è possibile reperire in giro per mercatini e portali web di collezionisti.

Scauri è una frazione del Comune di Minturno. Entrambe affacciano sullo stesso litorale, un’unica lunga spiaggia delimitata da due promontori: Monte d’Oro (nome che omaggia lo specchiarsi dei raggi del sole sul mare, quando si guarda in sua direzione) e Monte d’Argento. Le dune erano, un tempo, presenti lungo tutto il segmento costiero, praticamente cinque chilometri di fascia dunale. Ma il destino di questo paesaggio è stato frastagliato e discontinuo in tutti i sensi.

Da un lato, ad esempio, troviamo Sabaudia, la cui spiaggia ha ritrovato un vero e proprio tratto identificativo nella grande Duna Litoranea del Parco Nazionale del Circeo che ne delimita il perimetro. Parliamo del più lungo cordone dunale europeo con i suoi 23 chilometri e la sua altezza massima di ben 27 metri sul livello del mare. Un fiore all’occhiello a livello regionale e nazionale che, addirittura, rappresenta uno dei cinque habitat naturali dell’area protetta del Parco, caratterizzato dalla presenza di una flora molto particolare derivata da un adattamento semi-forzato a condizioni ambientali anche piuttosto estreme (alte temperature, siccità, venti forti e “salati”); una flora che colora tutto intorno di verde, rosa, giallo e bianco con l’avvicendarsi delle stagioni. La duna, oltretutto, porta “in grembo” anche una rigogliosa macchia mediterranea e si sviluppa in prossimità di quattro laghi costieri: il Lago di Paola, il Lago di Caprolace, il Lago dei Monaci e il Lago di Fogliano. È, quindi, anche il punto d’incontro tra acque dolci e salate, specie marine e terrestri.

Ma non tutte le località della fascia costiera hanno vissuto lo stesso epilogo.

La spiaggia di Scauri, originariamente, era delimitata da “montagnelle” che svolgevano anche un ruolo di frangivento: per arrivare al mare bisognava scavalcarle. Questa peculiarità del litorale e la presenza della stazione ferroviaria che connetteva Napoli e Roma hanno contribuito molto allo sviluppo di un costistente flusso turistico balneare che, a sua volta, è stato la spinta per la costruzione dei primi lidi in legno (Savoia, Maria Grazia e Aurora). Si trattava di strutture provvisorie, persino su palafitte, che venivano montante all’inizio della bella stagione e smontate con l’arrivo dell’autunno; i problemi cominciarono quando divenne comune l’impiego del cemento (anni ’50) per dare vita a strutture definitive. Non era più tempo di lidi temporanei fronte mare: era necessario molto più spazio, anche per facilitare percorsi e vie d’accesso. Nel 1958, quando questa breve ma intensa fase terminò, il lungomare era stato asfaltato e i lidi si presentavano, ormai, tutti in muratura, con la fascia dunale quasi del tutto cementificata.

Oggi, per godersi il panorama costiero d’un tempo, non resta che un pugno di fotografie ingiallite e qualche piccola duna scampata alla “modernità” che si può scorgere in direzione Garigliano, andando oltre Monte D’Argento.