Mura  di Vicenza, due ore di passeggiata lungo la cinta muraria: all’interno regnava l’ordine, all’esterno il caos, l’ignoto  e l’imprevedibile

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Mura di Vicenza: vestigia del muro in piazza del Castello, di fronte a COIN (foto di Luigi Jodice per ViPiu.it)
Mura di Vicenza: vestigia del muro in piazza del Castello, di fronte a COIN (foto di Luigi Jodice per ViPiu.it)

Le città che hanno mantenuto pressoché intatta la loro cinta muraria possiedono un inequivocabile fascino particolare. Difficile pensare a Vicenza come città fortificata eppure è sempre affascinante scoprire, in alcuni tratti, possenti mura e veder spuntare, nel tessuto urbano moderno, torri merlate e addirittura un alto mastio, come quello di Porta Castello.

Ed è proprio da questo luogo che inizia e si conclude un primo percorso lungo le mura di Vicenza, il più antico (X-XIII secolo), che ci permette di ammirare, con una semplice passeggiata a piedi di circa due ore, la storia della Vicenza attuale che dialoga con quella antica.

Mura di Vicenza, Porton del Luzzo dopo Ponte Furo andando verso quello che fu il teatro Berga (foto di Luigi Jodice per ViPiu.it)
Mura di Vicenza, Porton del Luzzo dopo Ponte Furo andando verso quello che fu il teatro Berga (foto di Luigi Jodice per ViPiu.it)

Molto interessante e significativa risulta essere la toponomastica, come in Piazza Castello, e subito ci si domanda dove poteva essere questo castello. Purtroppo è stato smantellato a più riprese, soprattutto durante il Settecento ed ha rischiato addirittura la demolizione anche l’alto Torrione che sovrasta la piazza.

Dalle antiche case torri dei Bontraversi, poi dei Maltraversi e del perfido tiranno Ezzelino, dal castello scaligero trecentesco si passa al Torrione odierno, di recente acquisito dalla Fondazione Coppola che vi ospita mostre di arte contemporanea.

Si può così salire fino alla lanterna sommitale, aggiunta forse in periodo di dominazione viscontea (1387-1404), e avere l’opportunità di godere di una splendida e sorprendente visione dall’alto della città. Prima di raggiungere i trenta metri dell’alta mole storica, fermiamoci ad osservare la sua base dove sono ancora visibili delle grosse pietre rozzamente squadrate che la tradizione tramanda come avanzi di muratura romana.

Strada che continua dal porton del Luzzo e va verso piazzetta Gualdi (foto di Luigi Jodice per ViPiu.it)
Strada che continua dal porton del Luzzo e va verso piazzetta Gualdi (foto di Luigi Jodice per ViPiu.it)

Procedendo verso sud, nascosta tra gli edifici moderni si trova la Porta Feliciana, cioè che porta alla chiesa di San Felice e Fortunato, una delle cinque porte antiche, dove si riscuoteva la “muda” o pedaggio che andava al vescovo.

A questo punto scendiamo di qualche metro in via Gorizia per scorgere un breve tratto di muro antico, formato con pietre alquanto irregolari, stretto tra anonime pareti moderne.  Percorriamo ora Contrà Mura Pallamaio che ci ricorda questo gioco che è uno fra i più antichi. La sua più lontana notizia ci viene da un bassorilievo egizio che coglie un gruppo di fanciulli nell’atto di colpire una palla con un bastone, detto appunto anche “maglio” (da “malleolus”, piccolo martello).

Muro in via Gorizia (foto di Luigi Jodice per ViPiu.it)
Muro in via Gorizia (foto di Luigi Jodice per ViPiu.it)

All’incontro con Contrà della Racchetta, proprio di fronte a questa strada dove nel Settecento viene costruito dal Calderari il Palazzo Anti, c’era una porta secondaria da cui, secondo la Cronaca del Godi, sarebbe uscito nel 1236 Federico II, secondo la predizione di un astrologo di corte. Infatti,  l’imperatore, per metterlo alla prova, gli aveva chiesto di scrivere da quale porta sarebbe uscito. Senza leggere il responso, aprì questa breccia e scoprì solo dopo che l’astrologo aveva effettivamente previsto l’uscita da una porta nuova.

Si vedono scorrere le placide acque del Retrone, al di sotto del ponte Furo, e se si guarda bene tra l’arcata centrale, forse si può, non certo intravedere, ma almeno immaginare la regale sagoma di un re goto laggiù sepolto, come si narra da sempre.

Attraversato il ponte, sul quale correvano ininterrotte le mura, difese da un’antica torre che si presenta oggi come una leggiadra loggetta del Palazzo Sperotti, si possono vedere le pareti esterne dell’ottocentesco Palazzo Gualdo, abbellite dal vetusto paramento murario.  Si arriva così a Porton del Luzo che sta tra le mura duecentesche e l’addizione veneziana.

I primi documenti di questo manufatto si aggirano intorno metà del Cinquecento e sono concordi nel chiamarlo “Torresino del Luzzo o del Lusso”.  L’origine del nome potrebbe riferirsi ad una famiglia dei Lucii, oppure al ”lucus” cioè al bosco: il termine era usato anche ad indicare “dell’uscio”, appunto della porta, ma non manca di certo la leggenda di un “luccio” di smisurata grandezza pescato chissà quando.

Un pezzo del muro prima di Piarda Fanton dopo strada dal Porton del Luzzo verso piazzetta Gualdi (foto di Luigi Jodice per ViPiu)
Un pezzo del muro prima di Piarda Fanton dopo strada dal Porton del Luzzo verso piazzetta Gualdi (foto di Luigi Jodice per ViPiu)

Superato l’imprevedibile e fascinoso novecentesco palazzo Zamberlan che si attesta sull’avanzo delle mura duecentesche, si giunge allo stretto imbocco di Contrà del Guanto dove stava una delle porte principali, la Porta Berga o Porta di Mezo, difesa dall’alta Torre dei Desmanini.

Si continua per Contrà Mura San Michele e proprio qui troviamo una lapide moderna posta a ricordo della cinta muraria medioevale, lasciata in parte a vista sul modernissimo palazzo, progettato da Vittorio Veller.

La nitida squadratura geometrica dell’edificio in mattoni a vista si sposa con una griglia strutturale composta di colonne e travature metalliche, con l’effetto di innalzare il corpo esterno sul fronte strada, esibendo il tratto di mura.

Si attraversa così la Piarda Fanton. Ancora una volta la toponomastica ci ricorda che la “piarda” era appunto il terreno che si trovava tra fiume e mura, lasciato libero ad ulteriore difesa della città. Naturalmente, ai nostri giorni è difficile cogliere questo spazio vacuo, visti i numerosi edifici che vi sono stati costruiti. Anche il successivo ponte delle Barche era difeso dalla Torre di Predevalle e chiuso da inferriate.

Dal ponte degli Angeli, chi voleva entrare in città doveva passare per la Porta San Pietro, un arco di laterizio che si apriva nel torrione che sbarrava l’imboccatura del ponte, difeso da un capitano e 24 soldati.  Ad ulteriore difesa verrà poi costruito dai Padovani il duecentesco Castello custodito da due capitani, uno a piedi e l’altro a cavallo.

Era presente, inoltre, una guarnigione di quarantasei soldati, dei quali dieci balestrieri. Non esistendo più da tempo questa fortissima ed agguerrita difesa, si può salire agevolmente la piarda Bertagnoni, ossia Contrà Canove e giungere a Motton Pusterla. Motton significa grosso mucchio, in questo caso di terra, ad ulteriore difesa dell’altra porta, Porta Pusterla, così chiamata perché piccola, demolita nel 1820, durante i lavori di sistemazione di contrà Porti.

Si prosegue per contrà Pedemuro San Biagio.  Lo stesso nome “pedemuro” della strada su cui si affaccia il vecchio carcere, fa riferimento alla caratteristica viabilità interna ai piedi della cortina muraria, prescritta dagli Statuti medioevali del 1264, che doveva essere di diciotto piedi, misura equivalente ad una larghezza di circa 6,50 metri.  All’incrocio con Motton San Lorenzo e l’attuale corso Fogazzaro, si trovava la Porta San Lorenzo o Porta Nova. Se ne ha notizia per la prima volta nel 1074; gli Statuti del 1264 la garantiscono munita di una grande torre merlata e fortificata, appartenuta a Rainone de Rainoni, famiglia molto potente della città.  Successivamente scomparsa senza lasciare traccia dopo che il torrione, ormai fatiscente, era già caduto nel 1779.

Percorso infine Motton San Lorenzo, che indica quel lungo terrapieno scosceso che, all’esterno delle mura, ostacolava un eventuale attacco ostile e le poneva in posizione sopraelevata e strategicamente privilegiata rispetto alla campagna circostante, si passa presso il ponte delle Bele, dove restano alcune tracce della cinta tardo duecentesca, arrivando infine al punto di partenza, e cioè Piazza Castello.

Da quello che abbiamo potuto osservare da vicino, nella prima cinta è prevalente l’uso della pietra grezza, proveniente dai Colli Berici e dalla zona di Montecchio Maggiore, mescolata a scaglie di cotto o mattoni rotti ed informi, quasi certamente di recupero di manufatti romani.

Sempre dai più volte citati Statuti sappiamo che nessuno poteva entrare o uscire dalla città se non dalle cinque porte principali: di San Felice, di Berica, di San Pietro, di Pusterla, e di Porta Nova, porte che venivano tenute ben controllate e chiuse, soprattutto di notte.  Si impediva così anche l’entrata non solo di eventuali nemici, ma anche di malati contagiosi e di coloro che erano stati cacciati dalla città per crimini o altri misfatti; quindi, all’interno delle mura regnava l’ordine, all’esterno esisteva il caos, l’ignoto  e l’imprevedibile.

Patrizia Muroni