Poveri in guerra con il servizio sanitario (o viceversa). Anche a Vicenza

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Il poliambulatorio di Santa Lucia a Vicenza questa mattina è pieno. La maggior parte vecchi: donne, innanzitutto; poi anche qualcuno più giovane. Dal colore della pelle deduco che parecchi sono stranieri. Anche allo sportello amministrativo di via Albinoni ce n’erano tanti, così come nella struttura ospedaliera di Montecchio l’altra settimana. La gente è modesta, povera, anche. Qui ricchi non se ne vedono. Quelli, sono altrove: nelle cliniche private e nei laboratori di analisi a pagamento.
Nonostante gli annunci ottimistici della politica, e dopo dieci anni di crisi economica, i rilievi statistici sulla popolazione hanno cominciato a consegnare dati preoccupanti. Continuiamo a sentire il peso delle incerte condizioni economiche malgrado si dichiari che siamo fuori dal tunnel e, a dispetto dell’annunciato calo della disoccupazione, non aumenta il numero degli occupati, si moltiplicano le partenze per l’estero, diminuisce la spesa degli italiani, e… udite udite: si riduce la speranza di vita. Appassisce il fiore all’occhiello del Bel Paese, il clima e la dieta mediterranea pare non abbiano più i loro benefici effetti. Il lieve svantaggio nella classifica mondiale con le donne francesi e con i maschi giapponesi ha cominciato ad aumentare fino a promuovere avanti a noi persino gli svedesi mangiatori di lardo di renna. E dal momento che la guida della classifica la conquista ancora il facoltoso e irraggiungibile principato di Monaco, a qualche studioso è venuto in mente di misurare la speranza di vita passando dai quartieri del centro alle periferie, cioè dalle zone residenziali più ricche a quelle più degradate. Prendendo dunque Torino, una città in cui lo scontro sociale non è particolarmente aspro come in certe zone d’Italia, ha notato che il tram ideale che misura l’arco della vita e che collega i palazzi del centro con la più povera ed esterna zona nord, perde cinque mesi a km, 4 anni in tutto il percorso. Altro divario nella speranza di vita si registra tra nord e sud. I luoghi mitologici della dieta naturale e della mancanza di stress si trovano in fondo alla classifica, come se fossero diventati tossici i friarielli e i lampasciuni e insana la flemma chiane chiane (piano piano, ndr) delle popolazioni del medio-basso tirreno. Un’altra evidenza di questo decennio di crisi, è la stretta dei cordoni della borsa all’intero comparto della sanità pubblica, che ha ridotto il personale medico ed infermieristico e elevato la contribuzione dell’utenza alla spesa sanitaria. Dunque il quadro a questo punto può dirsi completo. I fattori genetici e le tradizioni alimentari, sebbene abbiano un posto importante nel determinare la speranza di vita, non sono cause immutabili: la vita media è legata alle condizioni economiche della popolazione. Il 2015 ha avuto un boom di decessi paragonabile a quello nelle due guerre mondiali. In altre parole le condizioni di vita sono state funeste per la popolazione più debole; sono stati determinanti l’inaccessibilità alle cure mediche-ospedaliere, la mancanza di farmaci, l’inadeguata alimentazione, il disagio provocato dalle condizioni di povertà e di degrado. La popolazione abbiente accede alla sanità tramite le strutture private, non rispetta gli interminabili tempi d’attesa, si permette cure sofisticate, farmaci costosi, integratori e attenzioni alimentari sane e deliziose; la medietà della gente è costretta non senza insuccessi a programmare le cure che eroga un comparto pubblico sempre più scadente e in affanno; la restante parte è in guerra, e per lo più rinuncia a prevenzione e cure necessarie alla sopravvivenza.