Nuovi pozzi di gas nell’Adriatico? Lorenzoni (opposizione Veneto): “antieconomico e in conflitto con la transizione ecologica”

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“Non vi è alcuna giustificazione economica rispetto alla possibilità di attivare nuovi pozzi di gas in Adriatico, in particolare nella zona del Delta del Po”. È l’analisi circostanziata di Arturo Lorenzoni, docente di economia dell’energia all’Università di Padova e portavoce dell’opposizione in Consiglio regionale.

Il punto di partenza del ragionamento di Lorenzoni è che nell’attuale congiuntura i prezzi dell’elettricità e del gas sono incredibilmente alti, “almeno cinque volte i valori industrialmente giustificabili”. “In questi giorni il PUN, prezzo unico nazionale, dell’energia elettrica, ha raggiunto un picco inimmaginabile, oltre i 350 euro/MWh, complice il fermo di quattro centrali nucleari francesi. Da qui la richiesta di considerare l’opportunità di estrarre le risorse residue di gas naturale nel mare Adriatico. Si tratta di un’istanza non condivisibile, da molti punti di vista – sostiene il docente – In primo luogo l’intero ammontare delle riserve stimate, da estrarre lungo un arco di tempo di tre decenni, potrebbe coprire circa due anni del consumo italiano odierno. Certo, si ridurrebbe l’import, ma non affrancherebbe l’Italia dalla dipendenza dai paesi fornitori, su tutti Russia e Algeria. In secondo luogo, lo sviluppo di pozzi in Italia non assicura in alcun modo dai picchi di prezzo, perché nessuno accetterebbe di sviluppare i giacimenti a prezzi regolati ex ante (forse oggi il gas nazionale viene commercializzato al costo? Giammai)”.
“Un terzo motivo a sfavore della riapertura dei pozzi – prosegue Lorenzoni – è che la transizione ecologica non consente di investire più in alcun nuovo pozzo di petrolio o gas. Lo ha messo ben in luce il rapporto pubblicato quest’anno dalla International Energy Agency “Net Zero 2050”, che evidenzia che il credito residuo di carbonio da emettere in atmosfera per rispettare i due gradi di incremento della temperatura del globo è inferiore a quanto sarà rilasciato dalla combustione dei combustibili fossili nei giacimenti già in uso. Inoltre, gli impegni di decarbonizzazione assunti dal Governo italiano con il Fit for 55 europeo dell’agosto 2021 non permettono nuovi investimenti fossili. Un nuovo giacimento entrerebbe in esercizio tra almeno tre anni; con vent’anni di vita tecnica andrebbe al 2043, quando l’intensità carbonica dovrà essere necessariamente prossima allo zero”.
“Un quinto fattore a sfavore dell’avvio dei giacimenti in Adriatico è il fenomeno della subsidenza – aggiunge Lorenzoni – che nei decenni passati ha visto i terreni costieri del Veneto e dell’Emilia Romagna abbassarsi di diverse decine di centimetri quando i pozzi erano in funzione. Quei territori andrebbero dunque incontro ad un rischio ingiustificabile”.
“Infine, si è parlato dell’occupazione che tali pozzi potrebbero creare; tuttavia, anche questa motivazione appare estremamente debole  – evidenzia il portavoce dell’opposizione –  Con gli investimenti nell’eolico e nel solare saranno creati altrettanti posti di lavoro. È finito il tempo in cui si dovevano accettare costi sociali elevati per creare posti di lavoro, Marghera e Taranto insegnano, purtroppo”. Lorenzoni invita pertanto a “lavorare a livello europeo con la definizione di una corretta tassonomia che guardi alla reale sostenibilità degli investimenti per la ripresa economica e, a livello nazionale, per indirizzare gli investimenti in comparti che hanno una prospettiva economica di lungo periodo”.