La prima volta del sesso, ovvero la verginità tra virtù e tabù, Michele Lucivero: la donna è più “interessata” col secondo uomo

1995

Dovendo affrontare il tema della Prima volta del sesso, vale a dire del primo rapporto, non possiamo non far riferimento, al di là della fenomenologia e dell’intensità dell’innamoramento, con tutta la sua chimica, il suo trasporto emozionale, al significato di qualcosa che cambia ed ha conseguenze irreversibile nel corpo dell’uomo, ma soprattutto della donna, giacché per l’uomo questo fenomeno non ha mai comportato la necessità di una problematizzazione, stiamo  parlando del valore attribuito alla verginità o, detto in altri termini e molto più evocativi, alla deflorazione.

La verginità

La questione della perdita della verginità conseguente alla prima volta del sesso, infatti, ha una forte connotazione culturale, vale a dire che se alcune culture, come la nostra, quella italiana cattolica, almeno per tutta la modernità, la verginità era considerata una virtù da preservare, presso altre culture la verginità era un tabù, un momento da evitare.

La filosofia

Ora, occorre dire che la filosofia, in questo caso come in altri, se vuole mantenere il suo ruolo critico teso all’interrogazione dei fenomeni, dovrebbe astenersi in prima battuta dall’esprimere un giudizio favorevole nei confronti della verginità come virtù da preservare, se non altro per non confondere la sua metodologia con l’affermazione di un’etica cristianamente orientata, ma allo stesso tempo deve mantenersi distante dalla posizione estremamente relativista, tipica di una certa antropologia intesa come mera descrizione di culture, che giunge a legittimare alcune pratiche culturali al limite del rispetto della dignità umana solo per il fatto che esse rappresentino l’espressione di un complesso simbolico che a noi resta totalmente estraneo e inaccessibile.

La cultura italiana

Si diceva, dunque, che la verginità nell’immaginario della cultura italiana, soprattutto nel contesto piccolo-borghese, ma non solo, resta per tutta la modernità un valore imprescindibile, una virtù della donna da conservare gelosamente, pena il disonore per lei, ma anche per la sua famiglia, che non ha saputo educare la giovane deflorata alla custodia del suo fiore. La letteratura italiana moderna è infarcita di drammi inerenti la violazione verginale di donne che poi per la vergogna si ammalano e si lasciano morire oppure si suicidano per l’onta irreparabile subita.

La maestra sedotta

Non da ultimo il primo e unico romanzo della scrittrice milanese Annetta Fusetti, capitatomi tra le mani recentemente, dal titolo Il romanzo di una maestra (all’interno di questo libro, ndr) in cui la protagonista, una maestra, stereotipo della mentalità piccolo borghese di fine ‘800 viene sedotta, deflorata e abbandonata da un militare, e poi struggendosi per il dolore dell’infamia in cui è capitata, si ammala e muore.

Del resto, la cultura cattolica erge a caposaldo della propria fede proprio il Dogmi sulla verginità perpetua di Maria, la quale sarebbe rimasta illibata prima, durante e dopo la nascita di Gesù.

La deflorazione per i popoli primitivi

Ma, d’altra parte, se prestiamo attenzione ad una serie di lavori di carattere antropologico, che riportano le usanze di alcuni popoli primitivi, così venivano chiamati in pieno positivismo i popoli che non presentavano i caratteri culturali dell’evoluta civiltà occidentale, in questi testi si dà prova del fatto che la verginità non fosse comunemente accettata come un valore, uno scrigno da custodire fino alla prima notte di nozze con il futuro e unico marito.

Era era, invece, molto più comune che la deflorazione avvenisse prima e al di fuori delle nozze e fosse operata dal padre della sposa o da un saggio, un sacerdote all’interno di una cerimonia rituale e forse ciò avveniva anche a Roma con le donne che sacrificavano il proprio imene al fallo di Priapo.

Il Novecento e Freud sulla prima volta

Ora, è opinione diffusa nella temperie del Novecento, legato ancora ad una concezione antropologica evoluzionistica, ritenere che nei popoli primitivi vi fossero degli schemi molto semplici di pensiero e di azione, che poi nelle civiltà più evolute diventano complessi:.

Neanche Sigmund Freud è esente da questo schema interpretativo, diremmo oggi ingenuo, per non dire completamente inadeguato e irrispettoso dell’altro. Infatti secondo il padre della psicoanalisi vi è qualcosa di molto simile tra lo schema d’azione dei popoli primitivi e quello delle persone nevrotiche preda delle loro fobie. Infatti per Freud è usuale la reazione della donna che, dopo il rapporto sessuale, la prima volta del sesso, si mostra amorevole, affettuosa, poiché è soddisfatta e mostra la sua gratitudine all’uomo per la loro complicità.

Il comportamento della donna dopo la prima volta del sesso

Ma, in realtà, non è questa la norma, giacché “di norma” il comportamento della donna dopo il primo rapporto sessuale è diverso: infatti ella resta fredda, insoddisfatta, prova disappunto e occorre molto tempo prima che possa provare piacere. Vi è, secondo Freud, una linea di congiunzione tra questa frigidità iniziale, relativa al primo rapporto sessuale, ed una frigidità permanente e ostinata, che giunge in alcuni casi, come quelli da lui analizzati, a mostrare ostilità nei confronti dell’uomo, violenza, fino a colpirlo e maltrattarlo e a manifestare i prodromi di un disturbo sessuale chiamato vaginismo.

Il tabù della verginità elaborato dai primitivi

Ora, i primitivi avrebbero compreso che il pericolo dell’ostilità della donna nei confronti dell’uomo ha origine proprio nella prima volta, nel primo rapporto sessuale, nella deflorazione, motivo per cui si tenevano ben lontani dall’attirarsi l’inimicizia della propria donna. Tutti questi motivi depongono a favore del fatto che i popoli primitivi avevano compreso molto bene il significato della deflorazione, elaborando così il tabù della verginità.

Il secondo uomo è quello fortunato

In sostanza, la sessualità immatura della donna viene così scaricata sul primo uomo, quello che ha con lei il primo rapporto sessuale, pertanto è opportuno che l’uomo che dovrà trascorrere l’intera vita con lei, se vuole garantire che la donna provi piacere sempre nell’atto sessuale, e non ricorra ad un piacere extraconiugale, che secondo Freud è di solito più intenso, eviti di attirarsi le ire e i risentimenti che scaturiscono proprio dalla prima volta.

 

Michele Lucivero

per progetto Sexteen (La sessualità degli adolescenti. Quanti punti di vista?)

Qui primo approfondimento:

Il sexting, prof. Michele Lucivero: la spettacolarizzazione dell’intimo

Qui il secondo:

Adescamento online: il desiderio proibito e la ricerca della cura

 

A seguire i prossimi

Michele Lucivero è filosofo e docente di ruolo presso la scuola pubblica