Appelli processo BPVi, avv. prof. Rodolfo Bettiol: a partire da quello di Gianni Zonin i ricorsi in appello dei condannati e dei pubblici ministeri

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Processo BPVi: Giuseppe Zigliotto e Gianni Zonin
Processo BPVi: Giuseppe Zigliotto e Gianni Zonin

L'avv. prof. Rodolfo Bettiol, autore di "Banca Popolare di Vicenza. La cronaca del processo" (qui come e dove acquistarlo on line o fisicamente, ndr) fondamentale per conoscere gli atti e i passi successivi) inizia, con questo articolo e a partire dall'appello avverso la sua condanna in primo grado (giudici Deborah De Stefano, Elena Garbo e Camilla Amedoro) a sei anni e mezzo dell'ex presidente della Banca Popolare di Vicenza (a breve sarà su Bankikeaks.com l'atto di appello completo, ndr) l'illustrazione degli appelli presentati e motivati dai legali dei 5 condannati (Zonin, Giustini, Piazzetta e Marin oltre alla BPVi in Lca) e dai pubblici ministeri Gianni Pipeschi e Luigi Salvadori anche avverso le assoluzioni di Zigliotto e Pellegrini (qui tutti gli articoli a partire da quello odierno, ndr).

Sono stati presentati gli atti di appello avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza in data 19/03/2021 relativi agli imputati di Banca Popolare di Vicenza. Appellanti non sono solo gli imputati, ma anche i pubblici ministeri avverso le assoluzioni di due imputati.

L’avvocato Ambrosetti ha presentato un corposo atto di appello di ben 384 pagine a favore di Zonin (lo pubblicheremo a breve su Bankileaks.com, ndr). E’ impossibile per ragioni di spazio scendere in dettaglio ma meritano di essere indicati i punti salienti.

L’appellante ripropone l’eccezione di incompetenza del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma. Contrariamente a quanto affermato dal Tribunale la sentenza della Corte di Cassazione emessa nel corso delle indagini preliminari non ha effetto vincolante sulla competenza. Ancora, vi è una comunicazione fatta prima della visita in loco della Banca d’Italia del 2012 alla Banca stessa per cui il primo reato più grave (l’ostacolo alle funzioni di vigilanza) radicherebbe la competenza del Tribunale di Roma.

Cuore dell’impugnazione è la mancanza e manifesta illogicità della motivazione relativamente alla responsabilità del Presidente Zonin. Rileva l’appellante l’inerzia degli organi di controllo della BPVi ed in specie dell’Audit.

In seguito alla denuncia in assemblea del socio Dalla Grana ed in particolare la lettera dell’Avv. Esini che denunciavano la prassi delle operazioni finanziate, il responsabile dell’Audit aveva svolto una inchiesta rinvenendo il fenomeno delle cosiddette baciate, ma il rapporto per ordine di Sorato non era stato poi trasmesso al Consiglio di Amministrazione.

L’appellante contesta il ruolo di padrone della Banca a Zonin attribuitogli dalla sentenza.

Zonin si occupava del funzionamento del Consiglio di Amministrazione e delle strategie generali restando estraneo alla realtà operativa ed in particolare alla gestione del credito.

L’atto di appello procede ad una analitica disamina delle deposizioni testimoniali.

In particolare, vengono analizzate le dichiarazioni dei clienti che hanno effettuato le operazioni baciate, le dichiarazioni dei funzionari, degli amici del Presidente, dei familiari di Zonin dei membri del Collegio Sindacale, dei membri del Consiglio di Amministrazione, dei coimputati.

Lamenta l’appellante che il Tribunale ha omesso di prendere in esame plurimi elementi probatori dai quali emerge un quadro probatorio univoco.

Hanno deposto quasi un centinaio di testimoni tra clienti e dipendenti della BPVi. Praticamente tutti sono stati concordi nell’affermare l’estraneità del Presidente Zonin al fenomeno del capitale finanziato. Alcuni, Rigon, Irneri, hanno fatto dichiarazioni generiche circa un colloquio con Zonin relativo alle c.d. baciate, dichiarazioni del tutto irrilevanti come irrilevante è Malinverni.

Altra testimonianza a carico (Girardi) è smentita dall’interrogatorio di Bernardini de Pace.

Inattendibile perché contraddittoria è la testimonianza di tale Pitacco. Nè documenti, né intercettazioni provano la conoscenza di Zonin del fenomeno delle c.d. baciate neppure le intercettazioni di Sorato che chiama in causa Zonin.

L’appellante si sofferma poi sull’elemento soggettivo del reato.

Una conoscenza vaga della possibilità che fossero state realizzate alcune operazioni non può equivalere ad una rappresentazione (e successiva violazione) dei fenomeni in concreto realizzatosi.

Osserva il Prof. Ambrosetti che il fenomeno delle operazioni correlate non acquisisce rilievo penale sempre e comunque per la mera presenza di un finanziamento di azioni, ma solo ed in quanto vi sia una consistenza materiale tale da alterare i valori patrimoniali e di bilancio, consistenza materiale che inevitabilmente deve entrare nel fuoco del dolo e la cui rappresentazione e consapevolezza deve essere oggetto di dimostrazione.

Venendo in mera ipotesi alla posizione Zonin, non dimostrata dal materiale probatorio acquisito, se egli avesse saputo delle operazioni di Pitacco o Dalla Rovere o dei fratelli Roncato, ciò non sarebbe sufficiente comunque ad integrare il dolo.

Prosegue l’appellante con ampia esposizione in materia  di dolo richiamando lo sentenza del caso Thyssen Krupp per la quale il dubbio irrisolto non è sinonimo di dolo eventuale ed è compatibile con la colpa aggravata dell’evento.

Lamenta poi l’appellante l’incongruità del trattamento sanzionatorio del Presidente Zonin rispetto a quello degli altri imputati tenuto conto della natura e modalità dell’azione. I motivi di appello si prolungano poi sul problema della unità o pluralità di reati. Unico deve ritenersi il reato contestato di ostacolo alle funzioni di vigilanza e quest’ultimo assorbe in virtù del principio del ne bis in idem («non due volte per la medesima cosa», ndr) sostanziale i reati di aggiotaggio e di falso in prospetto.

Ambrosetti richiama anche il nemo tenetur se detegere («nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale», ndr) sostanziale.

L’appellante conclude chiedendo in via preliminare la dichiarazione di incompetenza del Tribunale di Vicenza e conseguentemente il trasferimento al Tribunale di Roma.

Si chiede la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale di numerosi testi non uditi in primo grado.

L’appellante critica i criteri di individuazione delle operazioni baciate così come affermati dai consulenti del P.M. e della BCE e chiede perizia in ordine al capitale finanziato presente in Banca Popolare di Vicenza. In via principale chiede l’assoluzione di Zonin per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato, la revoca della confisca per equivalente disposta in violazione del principio di sussidiarietà ed in ogni caso la confisca per equivalente in relazione ai beni utilizzati per commettere il reato, ovvero chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 2641 2^comma c.c..

In via subordinata ravvisato come si è detto l’assorbimento della fattispecie di aggiotaggio e falso in prospetto in forza del principio del ne bis in idem sostanziale, applicare il solo trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 2638 c.c..

In ogni caso il minimo della pena.

Come è dato vedere vi è una piena devoluzione della materia di giudizio. Spetterà alla Corte d’Appello valutare i fatti di causa piuttosto complessi e le questioni giuridiche sollevate non difettando la necessità di un approfondito esame.

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