Processo d’appello BPVi, la procura generale di Venezia ricorre in Cassazione: le valutazioni dell’avv. prof. Rodolfo Bettiol

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Ex banche venete BPVi e Veneto Banca, interviene l'avv. prof. Rodolfo Bettiol
Ex banche venete BPVi e Veneto Banca, interviene l'avv. prof. Rodolfo Bettiol

Il ricorso della Procura Generale di Venezia avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia emessa in data 10 ottobre 2022 nei confronti di Giustini Emanuele, Marin Paolo, Pellegrini Massimiliano, Piazzetta Andrea e Zonin Giovanni ha per oggetto le statuizioni della Corte in riferimento ai delitti di aggiotaggio, ai reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza, alla revoca della confisca (leggi notizie e commenti su Ricorso in Cassazione processo BPVi e vedi in fondo*).

Per quanto riguarda l’ipotesi di aggiotaggio la Procura censura che la Corte abbia ravvisato un unico delitto di aggiotaggio (quello bancario) per ogni annualità di riferimento (2012, 2013, 2014, 2015), in luogo dei quattro ritenuti dal Tribunale dal Tribunale di Vicenza per ciascuna annualità (aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo nelle sue declinazioni di aggiotaggio finanziario e bancario) dichiarando la prescrizione perfezionatasi sino al 2014.

La Corte ha ritenuto un solo reato di aggiotaggio (quello bancario) per ogni annualità.

Per la Corte il motivo della decisione è nella inestricabile combinazione di condotte di manipolazione operativa ed informativa. Per la Corte sussisterebbe una complementarietà delle condotte dei prevenuti volte a raggiungere i medesimi risultati (tenuta del prezzo dell’azione e apparente stabilità della banca).

Per la ricorrente Procura la diversità degli eventi di pericolo previsti dalla norma dell’art. 2637 C.C. (alterazione del prezzo dell’azione, affidamento sulla solidità della banca) non consente di ravvisare un unico reato ma distinti reati. Per comodità di chi legge ricordiamo che nella sentenza i fatti contestati si riassumono nel finanziamento occultato per l’acquisto delle azioni e nelle false informazioni al pubblico.

Il tema sollevato è interessante, ma di scarso rilievo pratico.

I reati di aggiotaggio sono stati dichiarati prescritti sino al 2014 e tale destino si presenta per i fatti commessi nel 2015.

Ad avviso di chi scrive il ricorso sul punto è infondato.

L’uso della disgiuntiva nel testo dell’art. 2637 C.C. indica una norma a fattispecie equivalenti risultando indifferente il numero delle condotte, la loro tipologia e l’evento. Il reato di aggiotaggio va considerato unico.

La Procura Generale censura poi la sentenza in relazione al capi B1 e M1 per avere la Corte ritenuto la sussistenza di un unico reato di ostacolo alla vigilanza in luogo di due pur sempre contestati.

Vi sarebbe un erronea applicazione dell’art. 2638 C.C..

Per quanto riguarda il capo B va rilevato come in sintesi si contesti l’occultamento dei finanziamenti per l’acquisto delle azioni (sino a 300 milioni), l’esistenza di lettere di impegno al riacquisto delle azioni, la garanzia di rendimento, la falsità delle causali nella documentazione.

Tanto sarebbe avvenuto nel corso dell’ispezione della Banca d’Italia presso la BPVi in Vicenza dal 28 maggio al 12 ottobre 2012.

Non è dato comprendere, ad avviso di chi scrive, la pluralità dei fatti di reato stante l’unicità del contesto e dell’evento. Giusto comunque il rilievo che impropriamente è stato evocato il principio che nessuno è tenuto ad accusarsi. Per quanto riguarda il campo M1 in questo caso, altresì, vi è una unicità di contesto.

E’ l’evento non la pluralità delle condotte dirette a realizzarlo che costituisce il reato nella sua unitarietà.

Si tratta dell’ispezione della Banca d’Italia del 2014 nel periodo marzo – agosto 2014. Anche in questo caso sussiste l’occultamento del finanziamento per l’acquisto di azioni, delle lettere di garanzia e via dicendo, nonché concessioni, sempre occultate del finanziamento per l’acquisto delle obbligazioni e delle azioni, nonché false dichiarazioni.

Il comportamento complessivo non può essere spezzettato sussistendo l’unicità dell’evento e cioè l’impedimento delle funzioni di controllo.

Di particolare interesse è il terzo motivo di ricorso della Procura Generale. L’art. 2641 C.C. prevede per i reati previsti dal titolo XI la confisca del prodotto del reato o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterli. La confisca può essere disposta anche per equivalenza con una somma di denaro. È innegabile, con particolare riferimento alla confisca anche per equivalente dei beni utilizzati per commettere il reato, che la confisca non abbia la caratteristica originaria del codice penale (art. 240) di misura di sicurezza.

Si tratta ad ogni effetto di normativa sanzionatoria cioè di una pena.

Il Tribunale di Vicenza in applicazione della disposizione aveva condannato gli imputati alla confisca per euro 963 milioni pari all’importo utilizzato per finanziare l’acquisto delle azioni. La Corte d’Appello ha revocato la statuizione. Per la Corte d’Appello la sanzione estremamente elevata viola il principio della proporzionalità della pena stabilito dalla normativa europea e ribadito dalle sentenze della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

Censura la ricorrente Procura Generale la decisione. Non si tratta di negare il potere del Giudice di disapplicare la norma interna configgente con la norma europea, ma si osserva come il criterio della proporzionalità è indeterminato ed in tal caso il giudice che disapplichi in tutto o in parte la norma viene a sostituirsi al legislatore.

La disapplicazione della sanzione viene in definitiva a violare la divisione dei poteri dello Stato. Il principio di determinatezza delle sanzioni ha carattere costituzionale e costituisce un impedimento alla disapplicazione diretta della norma da parte del Giudice. La ricorrente suggerisce, pertanto, un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la richiesta di interpretazione della sentenza della Corte 8/03/2022 nel procedimento C-205/20.

Più precisamente la richiesta dovrebbe vertere sul punto se la normativa nazionale debba essere disapplicata, anche quando la mancata applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata, come nel caso dell’art. 2641 C.C..

Ad avviso della scrivente i rilievi della Procura generale meritano attenzione. Si osserva, peraltro, che la questione è complessa. Non è affatto indeterminata la sanzione prevista dall’art. 2641 C.C..

Indeterminato è al contrario il diritto europeo sul criterio di proporzione. È ipotizzabile, pertanto, un rinvio alla Corte Costituzionale in merito alla sussistenza o meno di limiti costituzionali alla normativa europea con riferimento all’applicazione o meno all’articolo 2641 C.C..

La questione è interessante. Staremo a vedere.


Qui è possibile scaricare ii dispositivo sintetico della sentenza del Processo d’appello BPVi, qui è pubblicato il primo commento dell’avv. prof. Rodolfo Bettiol, sulla sentenza con motivazioni, mentre è pubblicato su Bankinveneto.it il suo testo completo nella sezione Premium, dove a breve renderemo disponibile anche  il ricorso della Procura generale di Venezia.

Qui sono state resocontate tutte le udienze di appello su ViPiu.it, mentre al nostro libro “Banca Popolare di Vicenza. La cronaca del processo” seguirà a breve il libro/documento sul secondo grado del Processo BPVi, sulla storia sintetica del fallimento delle due banche popolari venete, su quella degli indennizzi ancora non completati sia pure per il solo 30% di quanto perso e con un limite di 100.000 euro e su documenti delicati ma mai utilizzati dalle autorità competenti.