Sentenza Donazzan contro VicenzaPiu.com. Informazione ed opinione: libertà o licenza?

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Sentenza contro VicenzaPiù: libertà o licenza?
Sentenza contro VicenzaPiù: libertà o licenza?

Prendiamo spunto dalla recente sentenza che ha condannato VicenzaPiù (e dalle sue conseguenze) per qualche riflessione.
Nel passato anche relativamente recente l’Informazione era quasi esclusivo monopolio di professionisti quali la stampa, le TV e le Radio; questi Mass Media si servivano di professionisti di un certo livello, con una reputazione che dava fiducia e rendeva “vere” le notizie e le opinioni che venivano riportate.

Spesso i giornalisti di inchiesta e le “firme maggiori” diventavano obiettivi per il terrorismo e la malavita, e le perdite che hanno subito dovrebbero essere un faro per chi, tra mille difficoltà, cerca di portare avanti la libera informazione.
Per gli “altri” comuni mortali ci si doveva accontentare delle chiacchiere da bar ( o da barbiere/parrucchiere, a seconda del genere) e di foglietti “carbonari” spesso redatti col ciclostile che avevano, per forza di cose, diffusione e credibilità limitate.

Il Web, ma soprattutto la sua facile ed immediata accessibilità hanno cambiato tutto.
Oggi distinguere tra le fonti valide e quelle avvelenate, incomplete o di parte è una vera sfida, non solo per i professionisti, ma anche e soprattutto per la grande massa di utenti finali del prodotto “Informazione”.

Ma per tornare a “casa nostra” il proliferare di testare e di canali di comunicazione ha portato ad una pluralità di opinioni e versioni, ma anche ad una degenerazione del linguaggio e dei rapporti.
Se una volta personaggi di primo piano del mondo politico (e non solo) “lasciavano cantare le passere” (ma non sempre), ora le descrizioni in dissonanza al “racconto” che certe persone vorrebbero fosse dato vengono duramente osteggiate.

Forse anche grazie alla “memoria della rete” affermazioni ed atteggiamenti non propriamente commendevoli possono rimanere, essere ripresi e riproposti anche a distanza di anni; se in passato la “notizia” diventava vecchia e sorpassata nel giro di giorni se non di ore, oggi il ciclo di vita di una notizia si può misurare in minuti, salvo che qualche altro evento o notizia non le dia nuova linfa grazie agli onnipresenti link e collegamenti.
Parallelamente sfoghi e attacchi sui social (sovente con linguaggio non propriamente da educande) hanno dato la possibilità a tutti coloro che hanno accesso alla rete di interloquire e dare la propria opinione “urbi et orbi”.

Siamo in una grande ed immensa osteria, in una “sala del barbiere globale”, in cui tutti si sentono obbligati a dire la loro.
In tutto questo la Legge e la Magistratura sono ovviamente rimasti indietro di qualche decennio, ed hanno molte difficoltà nel perseguire tutti quegli atteggiamenti e le dichiarazioni che ne sarebbero forse meritevoli.
E, tutto considerato, forse è meglio che sia così altrimenti saremmo praticamente tutti sotto processo.

I casi di querela vengono invece talvolta utilizzati, per dirla alla Voltaire, “pour encourager les autres” ovvero per dare un esempio in casi lapalissiani, o per cercare di silenziare delle voci scomode.
E infatti le querele con richieste di danni gargantuesche verso esponenti del “libero scrivere” sono uno dei metodi preferiti per ridurre a più miti consigli certa stampa da parte di una certa nomenklatura.

Le sentenze si rispettano e non si commentano, diceva qualcuno, ma se “La Legge è uguale per tutti” ci aspetteremmo che anche altri (poco) autorevoli venissero inquisiti e condannati, visto il livello di turpiloquio che ha raggiunto una certa parte di agone politico.
Ma tant’è, questo non accade quasi mai in nome della Libertà di Espressione (che pare sia sacrosanta solo per alcuni nell’esercizio di una carica pubblica, anche qui Orwell non ha inventato nulla).
E la Libertà di Informazione?
Cercheremo in altro momento di vedere come è cambiata nel corso degli ultimi anni.
Ma dove finisce la Libertà e dove inizia la licenza?
Il buon senso e il senso del vivere civile dovrebbe farci dire che dove la nostra libertà finisce dove inizia quella degli altri.

La Bibbia dovrebbe farci dire di porgere l’altra guancia, ma dice anche “occhio per occhio”.
L’Esperienza ci direbbe che a discutere con una “anima semplice” questa ci batterà con la sua maggiore esperienza.
Ci sovviene una anedoto in cui, nella Russia zarista, uno di quelli che verrebbe oggi chiamato “leone da tastiera” venne trascinato in tribunale per aver detto che “Nicola è un idiota” .
Ovviamente cercò di negare, ma l’allora pubblico accusatore disse testualmente: “Se dici che Nicola è un idiota non puoi riferirti che allo Zar Nicola!“.

Probabilmente anche il pubblico accusatore avrebbe meritato di chiamarsi Nicola “ad honorem”, ma nel dubbio dell’onomastico l’ignoto mugiko fu spedito a contare alberi al di la degli Urali; in compenso, dopo il “cambio di amministrazione”, l’anonimo accusatore fu spedito a fargli compagnia, ma questa volta per tagliarli, gli alberi.
Similmente torna alla memoria la comica ma poco efficace difesa di Charles Philipon, sotto processo (1830) per aver disegnato la trasmutazione della testa di re Luigi Filippo in una pera: “Che colpa ne ho io se la testa del Re assomiglia ad una pera?” (6 mesi, pena sospesa, e 1000 franchi di multa).

Secondo eminenti glottologi il 90% delle persone utilizza non più di 2 mila parole nel linguaggio quotidiano, se da queste ci togliamo il turpiloquio e le offese, ci rimane un capitale veramente povero.
Ne vale davvero la pena?
Personalmente preferirei venire citato e ricordato per un arguto motto di spirito o una licida analisi, piuttosto che, come il gen. Cambronne a Waterloo, per il “Merde!” rivolto agli avversari, ma evidentemente è una questione di stile e di gusti personali.
Una delle regole auree degli spin doctor è che “ “.
E, similmente, un infelice epiteto verrà “coperto” da una querela per lo stesso motivo.