Separazione delle carriere e discrezionalità dell’azione penale: il parere del prof. avv. Rodolfo Bettiol

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Separazione delle carriere (UCPI)
Separazione delle carriere (UCPI)

Il Ministro Nordio ha dichiarato di voler attuare la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante, nonché introdurre la discrezionalità dell’azione penale.

Sul punto vale la pena di fare alcune riflessioni.

La Costituzione (art.111) prevede che il processo sia condotto da un giudice terzo ed imparziale.

L’espressione è stata intesa come un’endiadi, ma in realtà i concetti vanno distinti.

La terzietà indica l’indipendenza del giudice dalle parti.

L’imparzialità, la non prevenzione dello stesso.

L’unicità della carriera mette in effetti in discussione la terzietà del Giudice, soggetto a valutazioni anche dal Pubblico Ministero in sede di Consiglio giudiziario e Consiglio Superiore della Magistratura.

La separazione verrebbe a costituire dunque una garanzia ordinamentale della terzietà del giudicante.

Sotto questo profilo l’idea della separazione è propugnata dall’avvocatura penalista.

Va anche osservato come le attività del Giudice e del Pubblico ministero siano diverse.

Il Pubblico Ministero ricerca le prove, il Giudice le valuta. Nelle proposte di separazione delle carriere va inclusa l’istituzione di un autonomo organo di autogoverno.

Si ribadisce nell’ambito dei sostenitori della separazione delle carriere l’indipendenza del Pubblico Ministero dal potere esecutivo.

La magistratura è in genere contraria alla separazione ritenendo che in definitiva la separazione delle carriere porti alla dipendenza del Pubblico Ministero dall’esecutivo.

Quanto alla discrezionalità dell’azione penale va detto come nei fatti la stessa sussista in Italia.

L’ingente numero degli affari penali impone delle scelte di priorità. Ciò comporta che, in concreto, un buon numero di pratiche giunga all’archiviazione per prescrizione dei reati. Ma la discrezionalità dell’azione penale in senso proprio è cosa ben diversa dall’archiviazione per prescrizione.

Nei processi di “common law” la discrezionalità è intesa in due aspetti.

Il primo riguarda una discrezionalità definibile di natura tecnica e cioè la valutazione sull’esito proficuo dell’azione penale. Sotto questo profilo può dirsi che la riforma Cartabia disponendo l’archiviazione quando difetti la ragionevole previsione della sentenza di condanna tendenzialmente viene ad assimilarsi ai sistemi di “common law”.

Il secondo aspetto della discrezionalità in essi è visto nell’interesse pubblico alla persecuzione dei reati.

Si badi, qui non si tratta di scelte di priorità come avviene nella discrezionalità di fatto italica, né si tratta dell’irrilevanza del fatto prevista nella nostra legislazione processuale.

La scelta dell’esercizio dell’azione penale è nell’opportunità o meno della stessa.

Si tratta dunque di una scelta di politica giudiziaria ben più pregnante di una scelta di priorità. Al limite essa può arrivare al non esercizio dell’azione penale anche in relazione a reati di particolare gravità.

E’ plausibile che tali scelte siano rimesse al singolo Pubblico Ministero, senza un organo di controllo almeno in seconda istanza, senza direttive in merito all’interesse pubblico?

Sotto questo aspetto si apre la problematica.

E’ plausibile l’esercizio di una discrezionalità di natura prettamente politica senza un legame del Pubblico Ministero con la politica stessa?

Qui le dolenti note si fanno sentire.

Senza voler essere perentori la discrezionalità in senso proprio non pare possa essere disgiunta da un qualche legame tra Pubblico Ministero ed Esecutivo.