Alle soglie degli anni ’80 giovani giornalisti d’assalto e una Lettera 22. C’era una volta L’altra Vicenza del sabato, cartaceo: una meteora, però…

La fondò un eterogeneo drappello di giovani cronisti – tra i quali Massimo Manduzio, Alberto Franco, Maurizio Mascarin, Vincenzo Beni sostenuti da giornalisti già affermati quali Franco Maria Silvestri, Vinca e Felix

330
L'altra Vicenza e il sindaco Zio
L'altra Vicenza e il sindaco Zio

La macchina del tempo, grazie agli archivi dei periodici della Biblioteca Bertoliana (collocazione PER.VIC.810), ci porta al racconto di una Vicenza prossima agli anni Ottanta, quando il Veneto è ancora Vandea bianca e Vicenza è ancora la Sagrestia d’Italia. Ma qualcosa si stava muovendo. È in questo scenario che un eterogeneo drappello di giovani cronisti – tra i quali Massimo Manduzio (che nel settembre del 1981 fondò anche Segnocinema con Paolo Madron e Mario Calderale, ndr), Alberto Franco, il sottoscritto Maurizio Mascarin, Vincenzo Beni – sostenuti da giornalisti già affermati quali Franco Maria Silvestri, Vinca e Felix (la forza dello pseudonimo!), con zero budget e una mitica Olivetti lettera22, alla vigilia degli anni Ottanta propongono ai lettori vicentini L’altra Vicenza, “un giornale alternativo alla mestizia dei verbali di cronaca offerti dai due quotidiani locali”.

C’era di tutto, in quei pochi fogli a colore “scarsi” di pubblicità: dalla politica locale (esemplare una bella intervista a Lino Zio, consigliere comunale Dc dal 1951 al 1979 e tra le voci illuminate di Vicenza, dal titolo: “L’ ultimo Consiglio di Lino Zio”) ai retroscena dei palazzi romani (“A chi telefona il sottosegretario alla difesa, il vicentino Onorio Cengarle? Con 10milioni 200 mila lire di spese telefoniche, è tra i parlamentari più affezionati al telefono…”).

L'altra Vicenza e il parlamentare Cengarle
L’altra Vicenza e il parlamentare Cengarle

Senza dimenticare curiosi pezzi di colore, dai toni surreali, come quello su Gianni Marchetti, il giovane avvocato chansonnier che, sulle orme di Paolo Conte e Jannacci, lontano dal freddo rigore del Foro cantava in ogni dove (io ne sono stato testimone a Parigi, a la Gare de Lione) il cosmico” Lamento indiano”, la sentimentale “Piangi nelle valli e nelle convalli”, la mitica “Bagigi a Nairobi… tu mi offrivi del tokay/ mi parlavi dei tuoi guai/ ricordavi anche Shangai… Bagigi a Nairobi ho comprato per te”.

L'altra Vicenza e Gianni Marchetti
L’altra Vicenza e Gianni Marchetti

L’altra Vicenza. È il 16 dicembre del 1979 quando esce in edicola, a lire 300, il primo numero de “L’altra Vicenza settimanale del sabato”. Direttore e tra i fondatori, insieme ad altri colleghi, un giovane e pacato giornalista, Massimo Manduzio, che dopo una breve gavetta approderà a Il Giornale di Vicenza.

Per far capire di che inchiostro era questo debuttante giornale, il pezzo d’apertura del numero 1 fa subito scalpore, anche tra gli amici della Balena bianca. Titolo: “All’avvocato Pierangelo Fioretto, commissario giudiziale del Cotorossi, una parcella di 420 milioni”. Tanti, tanti soldi anche per il consigliere e assessore comunale Lino Zio che, da noi intervistato, ammette: “È una cifra enorme, vorrei non credervi. Ma è così”.

L'altra Vicenza e l'avv. Fioretto
L’altra Vicenza e l’avv. Fioretto

Tutto regolare, comunque. Sia per il compianto, fu ucciso, avv. Fioretto (“Senza di me non ci sarebbe il Cotorossi”, ebbe a dire), sia per il suo avvocato di fiducia, l’avv. Francesco Barilà, che sulla questione argomentò con una lettera al direttore il perché di tale parcella liquidata al suo cliente.

Noi, quelli che. Eravamo giovani, giovani scaltri con la biro e il block notes sempre a portata di mano. Giovani pronti e attenti ad ascoltare le voci della città, i suoi sentimenti, a raccoglierne i suoi malumori. E come segugi cercavamo interviste, notizie e retroscena più o meno “piccanti” per la quieta piazza palladiana. Tra i tanti temi sul tappeto, l’annosa questione del Teatro Nuovo firmato Gardella. “È un bel teatro, non costa molto, 8 miliardi. Chi ha votato contro non aveva proposte precise”, dirà il sindaco Giovanni Chiesa, che così chiuderà in bellezza il suo mandato amministrativo.

Intanto le strutture scolastiche della città facevano acqua. Succede all’Istituto tecnico Rossi, dove le aule di laboratorio sono ridotte ad un colabrodo. “Cadono calcinacci, ma si continua a far lezione”, denunciano gli studenti.

Rossi
L’altra Vicenza e il Rossi

Cronisti di strada. L’Altra Vicenza non aveva logisticamente una sua redazione, ciascuno scriveva a casa il suo pezzo, dopo averlo concordato col direttore durante i quattro passi canonici in Corso Palladio. Così facendo, le notizie – meglio, i retroscena – non mancavano mai. Anche perché la Dc locale era tutt’altro che granitica, e tra le contrapposte correnti le voci e i dissidi montavano presto a notizia.

Tutti contro. I retroscena sulle faide correntizie interne (rumoriani vs dorotei, Lorenzo Pellizzari vs Danilo Longhi), le battaglie di posizionamento tra veterani ed emergenti erano pressoché all’ordine del giorno. Bastava coglierle e scriverle. Come nel caso del governo urbanistico della città: “L’edilizia spacca la Dc: l ’assessore all’urbanistica Danilo Longhi contro l’assessore ai lavori pubblici Porelli”, scrive L’altra Vicenza. Ed il dibattito tra falchi e colombe scudocrociati saliva alle stelle.

Sulla scena della politica vicentina non c’erano solo i litigiosi Dc. Non passava inosservata la voce dell’intellettuale socialista Fernando Bandini, quella insorgente dell’architetto comunista Secone; c’era poi una sconsolata signora liberale, la Dalla Via, che per uscire da un sordo anonimato, col tempo pensò bene di far carriera e di trasformarsi in leghista convinta. E poi c’era un protagonista, a suo modo originale e fuori dal coro, come l’eclettico editore/scrittore Neri Pozza: “I politici? Una massa di ignoranti nel vero senso della parola: illetterati, idioti, totalmente privi di cultura. Sia a livello nazionale che locale – dichiara senza mezzi termini a L’altra Vicenza -. Prendiamo ad esempio la vicenda del teatro a Vicenza… ”.

Quando i politici… L’altra Vicenza se lo compravano tutti, politici e portaborse. Lo compravano, ma quasi sempre di nascosto, perché non si doveva far vedere. Qualche edicolante amico del Centro ci raccontava di questo o quell’altro assessore che, per non far vedere che leggeva questo giornalino insolente, se lo faceva comprare dal portaborse di turno o dall’amico del bar. Tanto per dire di com’era quella Vicenza che, per la verità, quanto a dose d’ipocrisia e provincialismo non ci sembra molto cambiata. Anzi.

Non ebbe vita lunga L’altra Vicenza. Appena 9 numeri nell’arco di 6 mesi. Ma per molti di noi quel giornale che voleva vederci chiaro (… andremo oltre la notizia, ci saranno gli amati retroscena… scriveva nel suo editoriale di presentazione il giovane Massimo Manduzio)  rappresentò un’ottima palestra per il futuro, e fece da battistrada ad un’altra operazione giornalistica, il settimanale Nuova Vicenza.

Tutto il resto è storia. Senza nostalgia.

P.S. Il direttore di questa testata non sapeva che L’altra Vicenza anche da lui fondata, ma per il bello e il buono di Vicenza, aveva un siffatto predecessore…