“Tre manifesti per la libertà” di Ahmet Altan. Storia della resistenza di un giornalista in Turchia

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Ahmet Altan, Tre manifesti per la libertà
Ahmet Altan, Tre manifesti per la libertà

«Si può resistere all’invasione degli eserciti; non si resiste all’invasione delle idee», scriveva Victor Hugo nel suo Storia di un delitto del 1877. Ed è proprio all’invasione delle idee di Ahmet Altan che la Turchia non ha saputo resistere, come lui stesso ci racconta nella sua opera Tre manifesti per la libertà. Ahmet Altan è un giornalista e scrittore turco, arrestato nel settembre del 2016 per la sua costante ricerca della verità e scarcerato definitivamente il 14 aprile del 2021 dopo un lungo processo e forti pressioni internazionali. Altan nel suo libro Tre manifesti per la libertà, pubblicato in Italia nel 2018, raccoglie tre discorsi pronunciati l’anno precedente nel suo processo a Silivri per difendersi dalle accuse di “cospirazione, golpismo e propaganda terroristica”.

In quest’opera Altan fa una vera e propria diagnosi dell’accusa contro di lui e arriva a raccontarci uno spaccato di ingiustizia molto vicino a noi, analizzando come la società democratica turca sia oggi fortemente in pericolo. Per portare avanti questa minuziosa analisi, partendo dalla sua accusa, Altan ripercorre una triste vicenda della storia turca: il colpo di stato del 2016.

Nel 2016, infatti, un gruppo di militari e golpisti guidati da Fethullah Gülen ha tentato di rovesciare il regime di Recep Tayyip Erdoğan. Questo stesso colpo di stato è avvenuto in un modo così disorganizzato e fallimentare da non portare ad alcun cambiamento, ma da far nascere addirittura diversi sospetti. Il noto giornale antigovernativo turco Taraf, fondato da Altan, ha cercato la verità ed è arrivato a ipotizzare come in realtà questo “golpe” sia stato voluto da Erdoğan per inasprire la sua repressione contro i dissidenti.

La sua analisi, quindi, avanza nell’inconsistenza delle “prove” contro di lui e suo fratello, Mehmet Altan, svelando come l’unico reato di cui sono colpevoli è quello di essere totalmente liberi. Il centro di questa accusa, che viene definita “documento omicida”, si basa infatti su una presunta collaborazione con i golpisti guidati da F. Gülen, che in realtà l’autore dimostrerà non essere mai esistita, essendo solo il pretesto per mettere a tacere una mente libera. In questa sua denuncia di un’ingiustizia, Altan inserisce una più profonda accusa a tutti i regimi autoritari, che si servono della paura per governare: «La paura che diffondono è la loro forza più grande e la loro più grande debolezza. La paura che diffondono è il cibo e il veleno del loro potere»[1], afferma nell’ultimo dei tre discorsi. Ed è proprio contro i regimi “della paura” che Altan si scaglia, rifiutando la corruzione e la diffusione di menzogne di cui si servono per rimanere al potere.

Durante il suo processo, c’è un inaspettato cambio di ruoli, gli accusatori diventano accusati e lo stesso Altan aprirà il terzo discorso dicendo: «Vostro onore, sono venuto qui oggi non per essere giudicato, ma per giudicare. Giudicherò coloro che, a sangue freddo, hanno ucciso il potere giudiziario per poter imprigionare migliaia di persone innocenti»[2]. In questo cambio di prospettiva non c’è solo una visione critica e una denuncia della corruzione del sistema giudiziario turco, che dovrebbe essere il centro di uno Stato di diritto, ma c’è anche una forte speranza che la società turca possa ritornare ad essere libera: «Nonostante tutto, sono convinto che la Turchia non abbia perso la volontà di vivere. Questo è un paese di miracoli. […] Il popolo turco è un popolo che sa compiere miracoli»[3].

La speranza si allarga poi anche all’umanità nella sua interezza che, basando la sua fiducia verso il sistema giudiziario, deve assicurarsi l’imparzialità e la libertà di quest’ultimo o sarà condannata. Il punto di partenza della “speranza” di Altan sono infatti i giudici. Speranza che lo conduce verso una libera ricerca della verità, «Quando si rimuove l‘atomo di ossigeno da una molecola d’acqua, quella non è più acqua. Allo stesso modo, quando si rimuovono i giudici dallo stato, quello non è più uno stato. Ciò che distingue uno stato da una banda armata è la presenza dei giudici»[4].

[1] A. Altan, Tre manifesti per la libertà, Edizioni E/O, Roma 2018, p. 142

[2] Ivi. P. 129

[3] Ivi, p. 141

[4] Ivi, pp. 122-123


Questo articolo è il frutto della collaborazione tra il giornale Vipiù.it e il Liceo Scientifico, Scienze Applicate, Linguistico e Coreutico “Da Vinci” di Bisceglie (BT) per i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO) sotto la guida del prof. Michele Lucivero.