Vadim Shishimarin è colpevole, ma anche chi ha leso il suo diritto alla pace. Appello all’obiezione di coscienza

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Vadin Shishimarin, Credits ilpost
Vadin Shishimarin, Credits ilpost

Ma guardatelo bene in faccia questo ragazzo. Ecce homo. Il suo nome è Vadim Shishimarin ed è un sergente di 21 anni dell’esercito russo. Anzi, era un sergente, perché proprio nel momento in cui la fotografia ha immortalato il suo volto, quindi mentre lo osservate, Shishimarin è diventato un ergastolano e del grado di sergente da questo momento in poi non saprà cosa farsene.

Diciamo subito che Vadim Shishimarin è colpevole, ovviamente. È colpevole di aver sparato alla testa un civile, un uomo innocente e disarmato di 62 anni. È stata una violenza inutile e gratuita, accaduta mentre Shishimarin, insieme ad altri militari, indietreggiava per ricongiungersi alla sua unità. Eppure adesso questo ragazzo fa pena e suscita diverse emozioni vederlo così.

Quello andato in scena a Kiev il 23 maggio 2022 è il primo processo per “crimini di guerra” di questa brutta vicenda, un processo che si è svolto, per la verità, mentre il conflitto russo-ucraino è ancora in corso. Ed è un processo che avviene sul terreno ucraino, con accusa e difesa ucraina.

Shishimarin è stato accusato di aver “premeditato” l’uccisione di quell’uomo, di quel civile, infatti il giudice ha respinto la tesi della difesa, secondo la quale il sergente avrebbe obbedito ad un ordine di un altro soldato, non di un superiore, di sparare.

Ma guardiamolo bene in faccia ancora una volta Vadim Shishimarin mentre va all’ergastolo. Lui si è dichiarato colpevole dell’omicidio e, per quel che può valere, ha anche chiesto il perdono alla moglie dell’uomo ammazzato, ma questa gliel’ha negato.

Eppure, proprio perché esercitiamo quella inguaribile attitudine filosofica ad andare al di là delle apparenze, che sono ben diverse dalle evidenze, dobbiamo dire che tutta questa messa in scena ci lascia perplessi come spettatori, ma anche profondamente feriti come esseri umani.

Le perplessità vengono dalle modalità inedite di questo processo per “crimini di guerra”. Il precedente più clamoroso e storicamente più rilevante di processi per “crimini di guerra” è stato quello intentato ai gerarchi nazisti all’indomani della Seconda guerra mondiale.

Già in quelle circostanze veniva messo in rilevo l’intreccio complesso tra la necessità di trovare i colpevoli per una tragedia senza precedenti, la tensione etico-civile dell’evento, che si svolgeva con USA e URSS seduti insieme al banco degli accusatori, e la prospettiva politica dell’esigenza di edificare un nuovo corso della storia senza più “crimini contro l’umanità”[1].

Il processo di Norimberga del 1945-1946, che si svolse, dunque, in territorio tedesco solo alla fine della Seconda guerra mondiale, benché fosse gestito, ovviamente, da una corte formata dai paesi vincitori e, quindi, non riconosciuta dai nazisti tedeschi, i soli imputati, diede avvio ad una complessa riflessione giuridica collegiale e partecipata.

Da quella esperienza, a tratti controversa, ma necessaria per fare i conti con ciò che era accaduto in Germania e di cui non ci fu analogo in Italia a carico dei fascisti, scaturì l’urgenza di articolare un sistema imparziale di garanzie anche per i tempi di guerra. Nacque così nel 2002 la Corte penale internazionale con sede all’Aia con lo scopo di indagare, condannare e punire i crimini contro l’umanità attraverso un Tribunale internazionale.

Ciò che ferisce della vicenda di Shishimarin, invece, è il motivo per cui quel ragazzo si trovava lì a soli 21 anni, il motivo per cui un giovane sano e di robusta costituzione abbia deciso di servire il suo paese nel nome della guerra, nel nome della distruzione, nel nome della violenza. E adesso ferisce vederlo lì come “scarto umano”, un giovane che non servirà più a nulla per essere stato costretto a fare una scelta sbagliata, che non è solo quella di aver premuto il grilletto, ma è più a monte.

E, allora, se ha ancora un senso pedagogico guardare le vite degli altri per carpire indicazioni utili per la nostra esistenza e quella delle generazioni a venire, vorremmo rivolgere un monito a tutti gli studenti e tutte le studentesse, soprattutto del nostro sud devastato dalla disoccupazione, che, finiti gli esami di maturità, decideranno di indossare la divisa e imbracciare le armi.

Care ragazze e cari ragazzi, pensateci bene al vostro futuro, perché purtroppo Vadim Shishimarin non ha avuto la possibilità di scegliere tra la pace e la guerra. In Russia oltre ai professionisti della morte sono stati richiamati a combattere i militari di leva, come Shishimarin, di soli 21 anni, perché l’obiezione di coscienza in quel paese non è un’opzione percorribile, come raccontano i corrispondenti di azionenonviolenta.

Care ragazze e cari ragazzi, è evidente che se c’è un esercito permanente, una guerra prima o poi la si fa. Lo affermava già Kant nel 1795 nel suo Progetto filosofico per la pace perpetua: «Infatti essi minacciano incessantemente di guerra altri Stati con l’addestramento, onde mostrarsi sempre pronti per essa»[2].

Non solo, ma prima o poi, presi dal panico, un superiore o le pessime circostanze in cui vi troverete nel corso di una guerra vi spingeranno a premere il grilletto e all’ergastolo ci finirete voi, non i vostri superiori, non gli oligarchi che se ne stanno a contare i petrodollari sui loro yacht, non chi vi ha mandati allo sbaraglio con la testa piena di odio per altri esseri umani, non chi vi ha obbligati a fare una sporca guerra.

Sarete voi ad essere al tempo stesso carnefici e vittime sacrificali di un sistema che lede il vostro diritto alla pace, alla vita, alla libertà di non imbracciare le armi, come ricorda ancora il filosofo Kant in quel trattato del 1795: «Si aggiunga che venir assoldati per uccidere o venire uccisi sembra implicare un uso di uomini come semplici macchine e strumenti nelle mani di un altro (lo Stato), ciò che non si accorda affatto con il diritto dell’umanità nella nostra persona»[3].

Sperando che un giorno possa essere trascinato davanti al Tribunale internazionale per reati contro i diritti umani chi costringe i giovani alla leva obbligatoria, noi non ci stancheremo mai di indicare la strada militante del pacifismo per sostenere con Kant la soppressione degli eserciti permanenti, con Gandhi la necessità di una logica della nonviolenza e con Aldo Capitini l’urgenza di formare da piccoli, nella scuola dell’infanzia, all’amore per la vita, per tutte le forme di vita.

[1] Cfr. L. Baldissara, P. Pezzino, Giudicare e punire. I processi per crimini di guerra tra diritto e politica, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2005.

[2] I. Kant, Per la pace perpetua, in Scritti di storia, politica e diritto, Il Sole24ore, Milano 2006, in p. 678

[3] Ibidem.


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a cura di Michele Lucivero

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