Nei giorni scorsi è stato firmato un accordo tra la Forall Confezioni Spa (legata al marchio Pal Zileri) e i sindacati. Tale accordo prevede il licenzimento di 65 lavoratrici e lavoratori. Vorremmo porre alcune domande, scrive nella nota che pubblichiamo il PCI – Federazione provinciale di Vicenza. _Perché le crisi (vere o presunte) le devono pagare sempre e comunque le lavoratrici e i lavoratori? Perché è diventato così facile (anzi normale) licenziare? Perché i padroni delle aziende che licenziano non diventano poveri (anzi, spesso si arricchiscono)?
Perché questi sindacati si accordano sempre sulla “diminuzione del danno” e non fanno una difesa intransigente, conflittuale e dura di tutti i posti di lavoro?
Perché è stato permesso di vendere aziende a capitali stranieri senza che venisse almeno il dubbio che, più presto che tardi, i lavoratori sarebbero stati licenziati e delle aziende sarebbe restato solo il marchio?
Perché confindustria non dice e non fa niente su questioni come questa? (domanda retorica, ma comunque, da fare)
_E, infine (ma ce ne sarebbero tantissime altre da porre ai padroni, ai sindacati, a chi siede in parlamento, alle istituzioni, ai governi di questi ultimi decenni …), chi pagherà questi licenziamenti se non la collettività?
_La risposta può anche essere una sola. La causa di tutto questo è il capitalismo. L’aver eretto il “mercato” a divinità infallibile e incontestabile. Una situazione permessa anche dalla sconfitta che una sedicente “sinistra” politica e sociale ha accettato da vari decenni.
Abbiamo tutti responsabilità di ciò. Ci siamo adeguati alla convinzione che il capitalismo sia l’unico sistema possibile. Abbiamo subito la cancellazione dei diritti di chi vive del proprio lavoro in cambio dell’aumento della povertà, della disoccupazione, della precarietà, della mancanza di sicurezza del e nel lavoro. Lo abbiamo fatto senza lottare. Abbiamo deciso che con i padroni (con quegli stessi padroni che pretendono la cancellazione dei diritti di chi vive del proprio lavoro) bisogna collaborare, che non è “elegante” lottare e che è meglio non entrare in conflitto con loro. Abbiamo, infine, accettato di considerare la “coscienza di classe” qualcosa di vecchio, superato, un retaggio del passato che oggi è qualcosa di anacronistico. Non è così. Si sappia che la “coscienza di classe” i padroni ce l’hanno, eccome. Anche se si fanno la guerra gli uni contro gli altri (se sono in competizione tra loro facendone pagare i costi, sempre e comunque, ai lavoratori), alla fin fine sono consapevoli di appartenere a una “classe”, a una casta che pretende sempre maggiori privilegi e che hanno un obiettivo comune: il profitto. Costi quel che costi.
_Non si potrebbe, almeno, su questi problemi (che sono quelli che investono i diritti collettivi e di classe) prima che su quelli dei diritti individuali e personali, creare un fronte di lotta? Senza perdersi in mille rivoli, all’inseguimento di questioni spesso fuorvianti?
E non si potrebbe pensare di ricostruire quella coscienza e quella solidarietà di classe perdute, per avere una forza sufficiente che ci consenta di sperare in una vita migliore?
Si dovrebbe agire partendo dalla difesa di tutti i posti di lavoro e dall’attuazione piena della Costituzione che, negli articoli 42 e 43, prevede l’esproprio di proprietà e imprese private per motivi di interesse generale. Per noi comunisti (ma, crediamo, per ognuno) il diritto al lavoro, la piena occupazione e la difesa di chi vive del proprio lavoro sono questioni fondamentali di interesse generale.
PCI – Federazione provinciale di Vicenza