Auguri a Benedetto XVI sempre al servizio di Dio e della Chiesa

283

Benedetto XVI, il papa emerito ha compiuto gli anni, ben 91 e a Lui vanno gli auguri di molti che vedono nella sua persona e in quella di papa Francesco la continuità del magistero petrino e dell’unità della Chiesa. In tempi molto difficili papa Benedetto XVI ha saputo sempre con chiarezza condurre la barca di Pietro. Un compito che è stato pure criticato sia da frange di cristiani e non che si amano definire progressisti e che riducono la fede al solo orizzonte temporale e psicologico, quando non ridotta a fenomeno sociologico, compiendo addirittura un passo avanti rispetto alla visione del modernismo.

Nondimeno cristiani che se-dicenti tradizionalisti hanno criticato e molto aspramente il papa, che non compiva quando loro desideravano e che spesso si riduce ad un formalismo liturgico, dove come affermava il poeta Felice Cavallotti: “Sarà il caso di vedere se per ritemprarci al gusto antico vi sia bisogno di farci dare anche gli abiti (o i paramenti) a prestito (acquistandoli) dai nostri nonni”. (Prefaz. alla traduz. dei canti di Tirteo del 1878. Corsivi nostri).

Spesso tutto nel tradizionalismo si riduce al rito e alla cui esecuzione ci si affanna con “cerimoniali” che non esistevano nemmeno al tempo di San Pio V (1570), ma delineati in epoca successiva. In questo ben dimentichi di quello che afferma il Concilio vaticano II: “Di ben poca utilità saranno le cerimonie più belle o le associazioni più fiorenti se non sono volte ad educare gli uomini alla maturità cristiana.” Presbytreriorum Ordinis, 6).
Proprio l’ultimo Concilio che papa Benedetto XVI, lui protagonista, vedeva come continuità della chiesa e non come “rivoluzione“. Se di rivoluzione di tratta, questa è nel senso vero astronomico, ossia ritornare al punto di partenza, al fondatore della Chiesa, come egli ha ben illustrato in tante opere e in particolare nei volumi dedicati a Gesù di Nazareth. Il fondatore non è riducibile ad un tempo determinato, perché Egli è il senso stesso della storia, tanto che Lui stesso ha stabilito che cosa bisogna trasferire trasportare nel tempo. Egli ha dato origine alla vera tradizione e l’esempio più forte è l’istituzione dell’Eucaristia: “fate questo in memoria di me“. Ciò che precede e segue l’atto della consacrazione è frutto del tempo e non esiste una volta per tutte, come credono erroneamente i tradizionalisti che non sanno nemmeno quante volte il Messale Romano sia stato cambiato fino all’ultima edizione, quella da seguirsi, cioè quella del 1962 ad opera del papa Giovanni XXIII.
Benedetto XVI sia come teologo sia come pastore della chiesa ha con carità liturgica dato la possibilità di seguire il Messale romano del 1962, ma è rimasto da alcuni, e da tutti i sacerdoti della Fraternità san Pio X, inascoltato, preferendo celebrare con Messali precedenti o addirittura non considerando i relativi canoni.
Tanti sono gli insegnamenti di papa Benedetto, piace ricordare la visione “di gioia” della fede e la capacità, questa sì veramente nuova, di dimettersi con le parole: “Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato.
Ma non si è certo dimesso dalla fede e il suo insegnamento anche recentemente è apparso sempre chiaro e senza il clamore dei vocianti del moderno o dell’antico, ma della perennità, questa la vera tradizione, della sostanza della fede in mente e in cuore, perché, il “Paròn“, alla veneta, chiede ben altro che manifestazioni all’antica o alla moderna, chiede quel servizio interiore che è prima di tutto la tradizionale preghiera che Cristo stesso ha insegnato.
Ben ha colto questo suo impegno papa Francesco parlando, venerdì 12 gennaio 2018, del coraggio della preghiera, sottolineando che la sua espressione è nella S. Messa, la quale “non è uno spettacolo” perché “andiamo all’incontro vivo con Gesù, non a un museo.” Questo è stato anche il messaggio di Benedetto XVI, con buona pace di coloro che parlano più di pizzo chiacchierino o di sfilato siciliano e di tonalità di rosa dei paramenti che non del fondamento della fede.
Ciò che papa Benedetto XVI ha insegnato è la grandezza della fede, della sua espressione, e non si è mai perso nemmeno nelle più delicate questioni come quella sull’infallibilità o l’iperdulia mariana di cui il teologo tedesco Hans Küng ha negato valore. Con forza ha rigettato il relativismo della cultura moderna, che si perde nel particolare e finisce con il considerare la parte come il tutto, riducendo la vita umana o alla sola economica o al diritto o al sesso, ecc. Il relativismo, figlio del riduzionismo è ciò che non consente la vera considerazione dell’uomo e della sua vita nelle molteplici espressioni, ma lo piega a visioni parziali, spesso dettate dalla sola moda.
Proprio per il suo insegnamento, il suo ministero e la sua dedizione alla vigna del Signore Benedetto XVI resta e resterà un punto di riferimento perché il suo non è stato “vento di dottrina”, ma fede creduta, vissuta e riflettuta. Qualsiasi tempo ancora il papa emerito rimanga tra noi, è sempre un buon tempo, perché è il tempo da lui proposto della gioia della fede.