Autostrade, Benetton: “trattati peggio di una cameriera”. Il Fatto: “non se ne vanno a mani vuote”

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Benetton
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Cielo plumbeo a Ponzano Veneto. Dal quartier generale dei Benetton trapela il profondo malcontento della famiglia per l’ultimo capitolo della vicenda Autostrade. “Hanno cercato l’esproprio fin dall’inizio” si lamenta il fondatore dell’impero Luciano che, con espressione non particolarmente felice, aggiunge di sentirsi trattato “peggio di una cameriera” e si dice indignato per “la demonizzazione del nome della nostra famiglia promossa dai vertici dello Stato”. Al fianco della famiglia si schiera il fotografo Oliviero Toscani, protagonista delle celebri campagne pubblicitarie che negli anni ’80 e ’90 fecero la fortuna del gruppo. “Luciano Benetton è la persona più onesta che abbia mai conosciuto”, ha affermato Toscani ricordando di conoscere il fondatore dell’impero da 40 anni. “Questo signore è nato povero, orfano povero, a 10 anni lavorava – rincara Toscani – non come la politica italiana di oggi fatta di nani e ballerine che decidono a chi addossare le gogne. Siamo un paese di vigliacchi”.

Curiosa la ricostruzione che fa Toscani dell’avventura in Aspi: “nel 1999 i Benetton si addossarono Autostrade che nessuno voleva”. Un “sacrifico” che solo negli ultimi 10 anni ha garantito agli azionisti profitti per circa 8 miliardi di euro di cui circa un terzo finiti nelle tasche dei Benetton. Miliardari a loro insaputa insomma. Vale inoltre la pena ricordare che, alla fine, per accaparrarsi Autostrade i Benetton non sborsarono neppure un euro. I soldi inizialmente versati al governo, circa 2,5 miliardi di euro, furono infatti in parte scaricati sul debito della società e in parte recuperati vendendo successivamente in borsa una parte della partecipazione.

Autostrade, come molti concessionari, è una macchina da profitti che viaggia con il pilota automatico. Incassi stabili e garantiti, nessun concorrente, uno scambio aumento dei pedaggi – impegni di investimenti particolarmente vantaggioso. La concessione è stata venduta ai Benetton dal governo D’Alema ma poi prolungata nel 2008, con termini ancora più vantaggiosi, dal governo Berlusconi. Termini che permetteranno alla società di tenere basso il livello degli investimenti sulla rete, a tutto beneficio degli utili. Ma secondo Toscani i Benetton c’entrano poco nulla perché “sono integerrimi ma hanno assunto manager non all’altezza“. Miliardari a loro insaputa insomma. Già a fine 2019 la famiglia aveva scaricato le responsabilità sui manager in una lettera ai giornali.

Difficile anche avvallare la tesi dell’esproprio ai danni della famiglia. Al momento non è chiaro quanto davvero incasseranno i Benetton al termine dell’operazione che porterà all’ingresso nel gruppo di Cassa Depositi e Prestiti con altri nuovi azionisti e alla successiva quotazione di Autostrade. CdP dovrebbe versare fino a 4 miliardi per assicurarsi il 33%. Se così fosse l’attuale valore del gruppo si collocherebbe introno ai 10-12 miliardi. Significa che i Benetton hanno oggi in mano una partecipazione che vale circa 2,5 miliardi. In ogni caso non se ne andranno a mani vuote.

di Mauro Del Colmo dal Fatto Quotidiano