Quali basi logiche e filosofiche per un progresso cosciente e liberatorio?

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Il testo è la seconda parte (qui la prima) dell’elaborato finalista della selezione regionale della XXXI edizione delle olimpiadi di filosofia.


La visione del mondo che abbiamo è filtrata dalla nostra limitatezza umana, con la sola possibilità di sviluppare un sistema aperto, critico e che decostruisca le sue stesse basi, garantendo un reale progresso della conoscenza umana.

La logica è sicuramente uno strumento affascinante, ma per sua natura non esprime una qualche concezione particolare ed è solo uno strumento attraverso il quale l’essere umano elabora le sue idee e le trascrive in modo chiaro e comprensibile. La logica può quindi aiutarci a svelare le fallacie dei nostri ragionamenti e a chiarire il nostro linguaggio, ma non può rappresentare il fondamento ultimo della razionalità umana che, secondo il filosofo Hans Albert, rimane impossibile da trovare.

Albert sviluppa un razionalismo critico che rinuncia a ogni fondamento ultimo sia trascendente, come in Locke, sia logico, come nel neopositivismo e nella filosofia analitica, pur continuando a sostenere il progresso delle facoltà razionali dell’intelletto umano. Albert parla di un andamento asintotico verso la verità, che preveda una critica continua delle pretese basi razionali della conoscenza umana come premessa al pieno sviluppo delle facoltà umane. Infatti ogni idea da noi elaborata è infine indimostrabile.

Secondo il “trilemma di Münchhausen“, da lui elaborato, alla fine ogni procedimento razionale è ridotto a un ricorso a un dogma, allo sviluppo di un argomento circolare o al regresso all’infinito. Nessun ragionamento umano può quindi sfuggire a un difetto della ricerca del fondamento ultimo della razionalità umana, cioè che è impossibile trovare una base razionale ultima e definitiva al pensiero umano. La pretesa razionalità trascendente si è quindi evoluta gradualmente nel pensiero umano e non è fissa.

Paul Feyerabend ha, invece, sostenuto che la stessa pretesa di costruire un sistema razionale e totale sia impossibile, in quanto i presupposti metodologici della conoscenza si evolvono e cambiano nel corso dello sviluppo storico-sociale delle società umane. Feyerabend arriva a sostenere una concezione anarchica della conoscenza umana, che non preveda nessun fondamento ultimo in quanto inserita essa stessa all’interno delle costruzioni sociali umane e naturali senza possibilità di elevarsi “al di sopra”, superando persino un razionalismo critico, che conserva l’aspirazione a trovare una verità ultima razionale del mondo partendo da un’idea astratta dell’intelletto umano. La visione del mondo che abbiamo è quindi filtrata dalla nostra limitatezza umana, con la sola possibilità di sviluppare un sistema aperto, critico e che decostruisca le sue stesse basi garantendo un reale progresso della conoscenza umana.

La seconda premessa è quella che l’uomo abbia una componente trascendente che non sia puramente naturale e che lo caratterizzi. Questa seconda base argomentativa è strettamente collegata alla prima, perché, per quanto si possa sostenere che le nostre concezioni razionali abbiano una base prescientifica e che la nostra visione del mondo sia condizionata dalla natura e dalla società, rimane sempre l’indecostruibile credenza nella trascendenza come componente dell’uomo. Anche quest’idea è antica ed è stata elaborata in molte modalità come la trascendenza religiosa, logica o della speranza.

In ognuna di queste posizioni si ritiene che l’uomo abbia un’essenza trascendente, che sia quella delle religioni abramitiche o la speranza di Ernst Bloch. Contro questo pensiero si è schierato il naturalista e pensatore Charles Darwin, che per primo ha messo in evidenza la naturalità della coscienza umana: siamo solo prodotti naturali dell’evoluzione e nient’altro, solo vermi che strisciano nella storia, che saranno dimenticati da quest’ultima, e tutte le complesse elaborazioni umane hanno il loro fondamento e la loro radice nella più bassa natura.

La tradizione antievoluzionistica ha dipinto l’evoluzionismo sia come una svalutazione dell’uomo sia come una posizione arrogante per le pretese di ridurre tutto alla sfera immanente. Senza avere l’arrogante pretesa di rinunciare al “tesoro” di cui parla Locke, si è sviluppata un’analisi della coscienza umana che prova a liberarsi da alcune superstizioni studiando le strutture del pensiero umano. L’etologo Konrad Lorenz ha seguito la linea di pensiero secondo cui la coscienza umana si è evoluta naturalmente, scoprendo una relazione fra la disumanizzazione degli altri esseri e la violenza, anzi ponendo come radice del pensiero violento la visione dell’altro come non appartenente alla propria specie.

Studiando il comportamento degli animali, Lorenz ha ritrovato possibili reinterpretazioni del comportamento umano e ha studiato l’evoluzione dello stesso considerando gli esseri umani come animali sociali. I criteri di scelta etica dell’uomo, anch’essi soggetti a una pretesa razionale, sono quindi ridotti a un éthos da studiare e comprendere. Secondo l’evoluzionismo quindi l’intelletto umano è un prodotto naturale, e questa visione è confermata nel campo etico-comportamentale dall’esperimento della “bambola bobo” di Albert Bandura.

Lo psicologo ha studiato il comportamento di alcuni bambini in una stanza con una bambola, prima con un adulto e poi senza. Bandura ha notato come i bambini che stavano in stanze con adulti che avevano comportamenti violenti replicavano quei comportamenti, mentre i bambini nelle stanze con adulti che ignoravano la bambola facevano lo stesso. Questo, insieme ad altri esperimenti come quello carcerario di Stanford organizzato da Philip Zimbardo e che ha studiato l’“effetto lucifero”, dimostra come gli schemi razionali dell’uomo siano il prodotto della struttura sociale in cui è inserito, rendendo impossibile una riflessione puramente astratta sull’intelletto umano.

Si potrebbe obiettare che l’uomo mantiene una sua peculiarità rispetto agli animali e a tutta la natura, cioè quella di pensare sé stesso senza necessariamente il contesto socio-naturale. Questa è la posizione sostenuta da Cartesio, che riponeva il fondamento ultimo dell’essenza pensante dell’uomo nell’io: «dubito ergo cogito, cogito ergo sum» (dubito dunque penso, penso dunque sono). Il razionalismo cartesiano può essere un’altra possibile base per fondare una trascendenza dell’intelletto e una superiorità delle facoltà umane sostenute da Locke, ed è il fondamento anche delle concezioni aristoteliche dell’intelletto umano. Infatti, la pretesa di elevare l’uomo sopra la natura attraverso la sua facoltà teoretica di pensiero si riduce ad affermare che esiste un’individualità pensante che non abbia la sua radice in strutture sociali, economiche, linguistiche o naturali.

L’io è quindi preso come astratto dal contesto in cui si è evoluto e sviluppato, e tutto questo è riassunto da una frase di Aristotele scritta nel III libro dell’Etica nicomachea: «la malvagità è volontaria». Se infatti il male viene compiuto volontariamente, e altrettanto volontariamente possiamo scegliere di seguire la natura razionale del nostro intelletto, ci si astrae dalle condizioni materiali che portano a quella scelta e che la condizionano. Inoltre questo possibile fondamento nell’io non è altro che il frutto di una superstizione.


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a cura di Michele Lucivero

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