BPVi, Il Sole 24 Ore: i Pm e l’insolvenza tardiva. Si appesantirebbero i reati per Gianni Zonin & c. e i tempi di prescrizione si allungherebbero

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Fa discutere la decisione dei pm vicentini Gianni Pipeschi e Luigi Salvadori che nei giorni scorsi hanno chiesto al Tribunale berico di dichiarare l’insolvenza della Banca Popolare di Vicenza, in liquidazione coatta amministrativa dal 25 giugno 2017. Un’iniziativa forte, che ha spiazzato molti osservatori, a cominciare dai legali che su più fronti stanno seguendo la vicenda. Si dava unanimemente per scontato, infatti, che gli inquirenti avessero abbandonato definitivamente l’ipotesi di perseguire Gianni Zonin e soci per reati fallimentari.

Se avessero avuto l’intenzione di farlo – si diceva a Vicenza – lo avrebbero fatto molto tempo fa. Evidentemente ci si sbagliava. Ora se il Giudice Stefano Limitone dovesse accogliere la richiesta dei pm, il quadro giudiziario complessivo muterebbe drasticamente. La liquidazione coatta è una procedura concorsuale che ha natura amministrativa e non ha conseguenze sul piano penale. Infatti, sino a questo momento, i protagonisti del dissesto, a cominciare da Gianni Zonin, a lungo presidente della Banca, sono indagati per ostacolo alla vigilanza, aggiotaggio e falso in prospetto.

Già il primo di luglio del 2017, due settimane dopo che la Bce previa consultazione con il Cru (Comitato unico di risoluzione) aveva accertato che la Bpvi era «prossima al dissesto», su queste stesse colonne sollevavamo il problema. Scriveva Plus24: «La liquidazione coatta amministrativa cui sono sottoposte entrambe le banche venete non è stata preceduta da una dichiarazione di insolvenza: questo potrebbe precludere la possibilità di procedere per bancarotta».

Oggi, a distanza di quasi un anno e mezzo, se l’insolvenza dovesse essere dichiarata, gli indagati potrebbero finire a processo anche per bancarotta fraudolenta con riflessi non soltanto sulle pene irrogabili (la bancarotta è punita sino a dieci anni di reclusione), ma anche sui tempi di prescrizione e financo sulle conseguenze civilistiche della vicenda. Secondo i pm è emerso che la banca anche prima del giugno 2017 stesse vivendo una situazione patrimoniale pesantemente compromessa. E nel ricostruire le tappe della vicenda si risale al settembre del 2015: anno nel quale dopo le perquisizioni della Guardia di Finanza, si era registrato un significativo deflusso dei depositi (1,5 miliardi). Ma gli inquirenti riavvolgono il film del dissesto addirittura al novembre del 2014 (subito dopo l’istituzione del Meccanismo unico di vigilanza della Bce) e citano il documento di “valutazione in dissesto o a rischio dissesto” della Bce del 23 giugno 2017 laddove si sottolineava come la BpVi abbia «dimostrato la sua incapacità strutturale di rispettare costantemente i requisiti patrimoniali (…) dimostrando l’inadeguatezza del suo modello per garantire la redditività a medio e lungo termine». Ora i civilisti si interrogano sui possibili scenari probabilistici. Nel frattempo cominciano a moltiplicarsi le iniziative legali dirette a congelare il patrimonio della famiglia Zonin: martedì due ufficiali giudiziari si sono presentati nella villa di famiglia a Montebello esibendo un decreto di sequestro conservativo sui beni mobili. Iniziativa di due diverse associazioni di risparmiatori (una ne rappresenta 245 e una 41). Primo sequestro per 15,5 milioni di euro, 3 milioni e 800 mila euro il secondo.

di Stefano Elli, da Il Sole 24 Ore