Circoncisione ebraica, Ariel Arbib: uno sguardo alla Storia antica

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Circoncisione, BergamoCirconcisione, Bergamo

Ciclicamente ritornano all’attenzione della cronaca notizie spesso riferite in maniera fuorviante  sul tema della circoncisione. Spesso si tratta di fatti che allarmano e sconcertano l’opinione pubblica, generando discussioni distorte e strabiche su di un argomento assai poco conosciuto da un pubblico più vasto.

Di conseguenza, è facile che quest’ultimo rimanga impressionato soprattutto dagli episodi cruenti e drammatici che qualche volta purtroppo  accadono. Oltre tutto, sono ancora in troppi a considerare questo rituale con superficialità e sommaria severità,  giudicandolo una pratica inutile, barbara e tribale.

Circoncisione in Francia
Circoncisione in Francia

Per gli Ebrei, la pratica della circoncisione  in uso da oltre tremila anni, è stata ed è uno degli aspetti primari e fondanti  della religione ebraica stessa. Fu tramandata di generazione in generazione come identità essenziale  ed indissolubile dell’appartenenza al Popolo ebraico, legato a questa dal Patto del Brith Milà, stabilito dal primo Patriarca  Avraham  (Abramo) con L’Eterno. “Vi lascerete circoncidere la carne del vostro prepuzio e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi. Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra voi ogni maschio di generazione in generazione Gen. 17-10-11 ”.

Così come allora, ancora oggi gli Ebrei in tutto il mondo praticano la circoncisione ai propri figli maschi nell’ottavo giorno di vita, con le stesse modalità e gli stessi rituali tramandati per secoli, affidandone l’esecuzione a persone formate ad hoc e divenute esperte in anni di pratica (Mohelim). Questi con le dovute attenzioni alle diverse circostanze, prendono le precauzioni  necessarie  prima e dopo l’intervento, eseguito nel totale ed assoluto rispetto del neonato e delle imprescindibili norme igienico sanitarie.

I Mohelim sono oggi sempre più spesso medici chirurghi o pediatri e la loro opera, anche per tale motivo, viene riconosciuta idonea e certificata sia dalle varie organizzazioni mondiali Rabbiniche, che da quanto richiesto e regolamentato dalle  varie legislazioni sanitarie nazionali.

Della circoncisione,  già in uso presso gli Egizi, si hanno notizie storiche che essa venisse praticata anche in epoca preislamica  da alcune popolazioni autoctone dell’area afro-asiatica. I Musulmani la adottarono invece come regola obbligatoria fin dall’inizio della loro fede, legati anch’essi per certi aspetti alla tradizione biblica, riconoscendo in Abramo il loro Patriarca e capostipite e primo credente nel Dio Unico.

Abramo, nel rispetto del Patto che aveva stretto con L’Eterno, circoncise se stesso ed in seguito anche i suoi figli Isacco ed Ismaele, dai quali si fa risalire la nascita delle due religioni monoteiste: quella ebraica da Isacco e quella islamica da Ismaele.

Con notevoli differenze rispetto alle regole ebraiche del Brith Milà, i Musulmani hanno  l’obbligo di circoncidere i loro figli maschi tra i primi mesi di vita e comunque non oltre  gli anni della pubertà, all’incirca entro i tredici anni, cosa che rende tale atto, soprattutto per i bambini più grandi, più doloroso e sicuramente più traumatico anche da un punto di vista psicologico.

Il Khitan, così definiscono i Musulmani tale pratica, non è obbligatoria  su base coranica, ma giustificata da una summa profetica per cui, alcuni giuristi islamici la considerano una pratica decisamente meritoria. Questo  giustificherebbe anche lo spazio temporale in cui essa può essere praticata perché, con il taglio del prepuzio, si immagina che il fanciullo, avviandosi verso la sua piena virilità, metterà in mostra anche la sua grande sopportazione al dolore.

In alcuni Paesi arabi, colui che effettua l’atto chirurgico viene detto hajjam  “barbiere”, la cui fama viene determinata dal successo dei suoi precedenti interventi. Bisogna però riconoscere che in molti dei paesi del centro Africa e dell’Asia minore in cui si effettua la circoncisione, questa viene spesso affidata a praticoni, quasi sempre  in assenza delle più elementari norme igienico-sanitarie.

La conseguenza di questo fatto comporta spesso che, una alta percentuale di infezioni o di decessi si sviluppi incontrollata tra i bambini che ne vengono sottoposti, senza che di questi avvenimenti drammatici si possano purtroppo raccogliere dati statistici attendibili. Intanto però le attuali ondate migratorie soprattutto dall’Africa,  a cui da anni stiamo assistendo, stanno incrementando fenomeni come questi anche nelle nostre città, dove sempre più spesso circoncisori “fai da te” di fede musulmana, provocano danni mortali ed irreparabili.

Sull’argomento poi, l’opinione pubblica e i media, reagiscono quasi sempre  senza mettere  sufficientemente a fuoco l’argomento, che invece avrebbe bisogno di essere trattato con maggior competenza  e con i necessari  distinguo.

L’attenzione errata su tale pratica non è certo cosa nuova ma, al contrario, ha connotazioni storiche antiche causa per altro, di un ingiusto coinvolgimento degli Ebrei durante l’Impero romano, divenendo in seguito  per loro  motivo di conseguenze  disastrose e devastanti.

Nell’81 e.v, l’Imperatore  Domiziano, salito al trono in un momento piuttosto complicato per l’Impero, durante il quale  la lussuria e la corruzione dilagavano incontrollate tra le classi più altolocate di Roma, col fine di frenare tale fenomeno ed indurre i cittadini a costumi più severi, promulgò una serie di provvedimenti legislativi restrittivi che oltre alla Gens romana, riguardavano anche quella delle Province  dell’Impero.

Svetonio, biografo di questo Imperatore, cita tra questi provvedimenti imperiali, seppure in maniera molto più ampia rispetto all’argomento che stiamo trattando, anche  il divieto della pratica della castrazione. Va qui ricordato che il turpe traffico di giovinetti schiavi destinati alla prostituzione attraverso la castrazione, era un fenomeno dilagante nella Roma del tempo ed il grande rischio di mortalità tra quei poveretti che la subivano era così elevato (due bambini su tre morivano) che per tale drammatico motivo, il prezzo di un giovane castrato raggiungeva sul mercato degli schiavi cifre vertiginose, anche 250 volte di più rispetto a chi non lo era ancora.

Tale provvedimento provocò in buona sostanza due diversi e peggiorativi fenomeni: l’aumento dei prezzi dei giovani castrati, fatto questo legato alla diminuzione dell’offerta e l’arrivo costante a Roma da Paesi lontani di giovani schiavi già manipolati. Di fatto il provvedimento legislativo promulgato da Domiziano non ne proibiva il commercio, né tantomeno il traffico. Proprio grazie a quest’ombra della legge, i truci mercanti di uomini (mangones)  continuavano comunque a sopravvivere e ad arricchirsi ancora più di prima, mantenendo così, quasi inalterato  questo turpe mercato.

A Domiziano successe Nerva, nel 97 e.v. e la linea morigeratrice che era stata già tracciata sull’argomento dal primo Imperatore,  fu resa ancora più drastica dal secondo il quale,  non appena insediatosi, con un ulteriore decreto senatoriale, stabilì  che chiunque avesse fatto castrare uno schiavo sarebbe incorso nella confisca di metà di tutti i suoi beni materiali. E’ evidente che, questo ulteriore aggravamento delle pene, indicava che la morale comune su tale argomento si stava gradualmente modificando ed estendendo. Ma ombre a riguardo rimanevano però ancora dense e persistenti nelle province più lontane.

Dopo il regno di Nerva e dopo quello di Traiano, (98-117 e.v.), anche l’Imperatore Adriano (117-138 e.v.) mise di nuovo mano all’argomento, inserendo nelle disposizioni della “Lex Cornelia” (Lucio Cornelio Silla 81 e.v.), leggi che già contemplavano la pena capitale e la confisca per tutta una serie di delitti, come ad esempio il reato di  lesa maestà, anche la proibizione assoluta della castrazione, sia di schiavi che di soggetti in condizione libera.

Non erano infatti rari episodi di castrazione volontaria di personaggi  che, per propria scelta e convenienza, decidevano di sottoporsi a questa pratica, per i grandi vantaggi che tale menomazione comportava per  loro una volta entrati nelle comode domus romane.

Tornando alla disposizione adrianea, questa andò ben oltre le precedenti disposizioni, stabilendo infatti che anche i castrati, consenzienti o no e addirittura i cerusici che l’avevano praticata, venissero condannati alla confisca di tutti i loro beni oltre alla pena capitale. Una blanda indulgenza, al giudizio dei Consoli, veniva concessa solo a coloro i quali, avendo subito la demolizione contro la propria  volontà, ne dichiarassero il fatto.

Tale disposizione di Adriano si colloca temporaneamente nel 130 e.v. ed è decisamente assai più restrittiva rispetto a quelle dei suoi due predecessori. In essa vengono infatti compresi anche altri e diversi tipi di mutilazioni e demolizioni dei genitali maschili, ancor più devastanti e dolorosi della castrazione dei quali però, nel rispetto della sensibilità del lettore, mi asterrò di entrare nello specifico.

Con uno sguardo  a quanto nelle regioni orientali dell’Impero continuava comunque ad accadere a riguardo, è plausibile immaginare che Adriano avesse inteso comprendere nel suo divieto qualsiasi genere e tipo di pratica demolitoria. Con altrettanto ragionevole certezza si può dire che, in tale allargata e più ampia normativa,  vi sia rientrata anche la circoncisione, che alcuna affinità aveva con tutto il resto delle altre terribili pratiche già in uso. Ma la Lex adrianea aveva probabilmente il preciso intento di togliere di mezzo qualsiasi  fraintendimento o pretesto che potesse aggirare il divieto, ne è possibile  altresì pensare che non si conoscesse già la differenza tra castrazione e circoncisione.

Fin dagli anni precedenti e comunque dopo che Tito Vespasiano nel 70 e.v. vinse e piegò la resistenza ebraica del Regno di Giuda distruggendo e depredando il Tempio di Gerusalemme e solo dopo che ebbe esiliato una grande parte dei suoi abitanti, quella terra divenne di fatto una colonia romana.

Roma continuò comunque  a concedere agli Ebrei una qualche autonomia giuridica e religiosa che però, mai avrebbe potuto e in nessun modo, prevaricare ed opporsi alle leggi ed alle disposizioni imperiali. Va ricordato che fin dagli inizi della presenza militare  romana in quei territori e già dai tempi dell’arrivo del Console Pompeo Magno attorno al 60 a.e.v., i rapporti tra Roma e gli Ebrei del luogo non furono mai esaltanti anzi, continui malcontenti e tensioni da parte della popolazione, fiera della propria identità e non avvezza ad oppressioni e restrizioni, furono la causa di continui disordini e sommosse nell’arco di oltre un secolo e mezzo.

L’ultima di queste, tra il 131 e il 135 e.v., che tanto diede da fare ai legionari romani, costò agli Ebrei un pesantissimo tributo di sangue, oltre alla perdita definitiva della loro identità come nazione e della possibilità di risiedere  nella città di  Gerusalemme, che ridotta in macerie, venne poi rinominata dai Romani Aelia Capitolina. Questo di fatto segnò l’inizio della  dolorosa e lunga Diaspora ebraica e dell’esilio da quella terra  che, in spregio al nemico battuto, da allora  fu chiamata solo Palestina.

Le cause che scatenarono tale rivolta, capitanata da Shimon Bar Kokbà, sono probabilmente da ricercare, come dicevo, nelle pesanti vessazioni imposte dai Romani e forse anche dalle eco delle numerose rivolte ebraiche che nei pochi anni precedenti si erano accese contro Roma, in Cirenaica, Egitto e Mesopotamia  (115-117 e.v.), sedate poi da Traiano, succeduto a Nerva, (98 e.v.) con disumana ferocia.

E’ per tanto verosimile e storicamente plausibile  la motivazione di quanto accadde, per ciò si ritrova scritto nella  biografia di Adriano negli “Scriptores Historiae Augustae”, dove non si fa menzione della guerra in Palestina, ma dove sono invece ben descritte le sue probabili cause : “ Moverunt ea tempestate et Iudei bellum quia vetabantur mutilare genitalia ”. ”[ ] anche gli Ebrei fecero guerra perché era stato vietato loro di mutilare i genitali”.

Devono passare soltanto pochi anni ed un altro Imperatore  Antonino Pio (138-161), in un anno imprecisato del suo regno, ritorna sull’argomento e modifica definitivamente la proibizione per gli Ebrei di circoncidere i propri figli, così disponendo: “ Circumcidere Iudeis filios suos tantum rescripto divi Pii permittitur: in non eiusdem religionis qui hoc fecerint poena irrogatur”. Con un rescritto dell’imperatore Antonino Pio, solo agli Ebrei si consente di circoncidere i propri figli: a colui che abbia eseguito la circoncisione su di un soggetto non della stessa religione, sarà comminata la pena retroattiva [per chi pratica la castrazione]”.

Tale fortunosa novazione di Antonino Pio, probabilmente indotta dall’effetto delle pressioni degli Ebrei maggiorenti di Roma oltre che da i suoi personali rapporti di amicizia con una figura di spicco dell’Ebraismo di allora, Rabbì Jehudà haNassì, non può quindi che dare la conferma che le drastiche disposizioni sulle castrazioni volute da Adriano, abbiano riguardato  senz’altro anche la circoncisione e se ne può quindi dedurre che la sua proibizione sia stata una tra le probabili cause che diedero fuoco alla miccia, scatenando  le rivolte ebraiche contro Roma dalla Cirenaica alla Mesopotamia, passando per l’Egitto ed Israele.

Oggi la circoncisione è di nuovo  sotto i riflettori e messa in discussione, ove non addirittura in pericolo di divieto definitivo, come sta già accadendo in alcuni Paesi del nord europeo, dove evidentemente viene  ignorato quanto già accade da oltre un secolo negli Stati Uniti, Paese in cui invece tale pratica è riconosciuta come ottima prassi sia da un punto di vista igienico oltre che sanitario e per questo eseguita in larga scala su di una altissima percentuale della popolazione maschile.

Non ci auguriamo affatto, per quanto sopra riportato, di dover di nuovo scatenare rivolte o sommosse per sostenere il pieno diritto di poter circoncidere i propri figli, ma esprimo qui invece l’auspicio che quanto scritto, possa contribuire a diffondere nel pensiero comune la convinzione che questa sia una pratica utile, verosimilmente delicata e che come tale, vada praticata con la necessaria esperienza e cautela. Deve rimanere comunque fermo il fatto che il rito della circoncisione è da considerarsi un atto imprescindibile ed essenziale  per la Fede, non solo ebraica e che per tanto vada rispettato dagli uomini e tutelato dalle leggi.

Di Ariel Arbib

Ariel Arbib, l'autore
Ariel Arbib, l’autore

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