Discorso ai predatori: un modello di Lotka – Volterra

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Saturno divora il figlio (Francisco Goya)
Saturno divora il figlio (Francisco Goya)

Un modello di Lotka* - Volterra** - discorso ai predatori (nella foto Saturno divora il figlio, Francisco Goya)

Sai cosa ti dico? Che abbiamo pensato da troppo tempo di essere intoccabili. Noi che viviamo nella parte fortunata del mondo, quella che detta le leggi, quella che controlla e manovra la globalizzazione. La parte ricca, quella che continua a guadagnare confidando in una crescita senza fine. Non è proprio così. Ce lo hanno fatto credere quelli che, effettivamente, avevano enormi benefici e privilegi da un sistema costruito sul profitto individuale. Ricco è bello, anzi, possedere il capitale, e tanto, è l'unico obiettivo che un essere umano può sognare di raggiungere. Non importa come e se, questo accumulo di patrimonio, possa creare miseria. Anche tra quelli che si credono immuni da essa. Questo ci hanno detto.

Noi che facciamo parte del “mondo civile”, quello più sviluppato, proprio noi siamo i predatori. Ci siamo organizzati per invadere altri paesi, abbiamo scatenato la nostra forza per sottomettere popoli e appropriarci della loro ricchezza. Abbiamo fomentato guerre contro “i popoli di fuori e i poveri di dentro”. Abbiamo sfruttato le persone e l'ambiente. E abbiamo fatto di tutto. Il nostro compito era distruggere piuttosto che costruire, in maniera da essere sempre più forti degli altri. Ci siamo convinti di essere i migliori e ci siamo arrogati il diritto di fare e disfare tutto quello che volevamo. Siamo diventati spietati.

Noi eravamo i predatori e, sulle nostre prede, ci siamo abbattuti come un flagello in ogni angolo della terra. Abbiamo confuso scientemente la solidarietà con l'elemosina. La giustizia con il delitto. La coscienza con l'indifferenza. Abbiamo potuto farlo perché noi eravamo gli eletti e controllavamo tutto e tutti. Intoccabili.

Improvvisamente siamo diventati, noi, le prede di predatori invisibili e privi di intelligenza (per lo meno di quella che possiamo comprendere). Ci avevano detto che sarebbe arrivato qualcosa del genere. Lo sentivamo, persino, nell'aria. Del resto, nei secoli, abbiamo subito invasioni analoghe. Ma, in definitiva, il tempo le aveva ridimensionate e le avevamo cancellate dalla nostra memoria.

Recentemente le avevamo viste di nuovo. Da lontano. Avevano invaso le parti più remote del mondo. E avevano attaccato quelle che erano state le nostre prede. Così non ci siamo preoccupati né preparati.

Sì, veramente qualcuna delle nostre vecchie prede aveva detto che saremmo stati colpiti anche noi. Ma, cosa volete, potevamo forse credere a quello che ci dicevano quelle voci lontane, incivili e ignoranti? Ed è anche vero che qualcuno di noi ci aveva avvisato del pericolo, ma noi predatori lo avevano zittito accusandolo di essere poco moderno e di professare un pensiero che avevamo definito ideologico. Una brutta parola, un concetto antico e sconfitto dalla storia.

Noi eravamo ancora i predatori. Vincitori intoccabili e onnipotenti. E, poi, avremmo comunque trovato la soluzione.

Così non ci siamo preparati e, improvvisamente, siamo diventati noi le prede impaurite e incapaci di reagire. Abbiamo cominciato a pensare come uscire da questa nuova situazione. Abbiamo tentato di fare qualcosa, certo, ma con il disordine di chi non aveva immaginato potesse accedere … Il caos ci ha travolto e abbiamo provato cosa significasse il terrore. Siamo stati presi da una paura atavica, vecchia di millenni. La stessa che avevamo imposto agli altri quando eravamo noi i predatori.

Adesso temiamo di perdere tutto il poco che voi, che indicavate come bisognava vivere, ci avete concesso. Soprattutto abbiamo paura che voi, pochi e potenti, perdiate la vostra ricchezza. Questa vostra minore ricchezza ci fa orrore perché ci avete insegnato che era giusto arricchirsi e che chi diventava più ricco era anche l'eletto, il migliore. Il capo di tutti noi.

Adesso tutto si sta sgretolando. Tutto si è fermato. Non sappiamo come agire. Voi, ricchi, ci dite di chiudere gli occhi, di non pensare, di far finta di niente. “Dovete continuare a lavorare per noi” ci dite promettendoci qualcosa. Ma voi volete soltanto continuare a sfruttare persone e ambiente come se nulla fosse. E volete farlo tramite nostro. Volete convincerci ancora che dobbiamo chinare la testa come abbiamo sempre fatto. Ricominciate a volerci far credere che se moriremo sarà per una causa superiore, la vostra sopravvivenza. Arriverete a dirci che è giusto così, che è naturale, che siamo troppi e che questa è una guerra e come tutte le guerre, noi che abbiamo creduto in voi e che desideriamo il vostro modo di vivere, sì proprio noi, dobbiamo sacrificarci. Lo dobbiamo fare per il futuro dei nostri figli che potranno partecipare alla corte dei vostri figli. E, così, potremo continuare a credere di essere anche noi i fortunati del mondo. E continueremo ad odiare quelli che sono miserabili come noi. Li odieremo per il solo fatto che ce li descriverete come diversi e selvaggi.

Sappiate che questo predatore invisibile che ci sta invadendo con la malattia, che ci ha reso fragili e che ci uccide, ci potrebbe anche far capire che vivere non significa lavorare solo per farvi arricchire. Che respirare non è un privilegio. Che l'elemosina non è solidarietà e che la prevaricazione non è né democrazia né, tanto meno, libertà.

Forse stiamo crescendo e cominciamo a capire che siamo uguali alle nostre antiche prede. Con loro ci potremo alleare. Dovremo farlo. E quando ci riusciremo, per voi, padroni del mondo, sarà la fine.

*Alfred J. Lotka, all'anagrafe Alfred James Lotka (Leopoli, 2 marzo 1880 – New York, 5 dicembre 1949), è stato un matematico, statistico e chimico fisico statunitense, famoso per i suoi lavori sulla dinamica delle popolazioni e l'energetica.

** Vito Volterra (Ancona, 3 maggio 1860 – Roma, 11 ottobre 1940) è stato un matematico, fisico, politico e antifascista italiano. Fu uno dei principali fondatori dell'analisi funzionale e della connessa teoria delle equazioni integrali. Il suo nome è noto soprattutto per i suoi contributi alla biologia matematica.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.