Flat Tax, il governo della ?restaurazione?

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Come riportato dalle agenzie di stampa, alla domanda ?Perché la flat tax?? il neoministro e capo della Lega, Matteo Salvini risponde: “Perché è giusto che chi guadagna di più paghi meno tasse. Perché spende e investe di più. L’importante è che ci guadagnino tutti: se uno fattura di più, risparmia di più, reinveste di più, assume un operaio in più, acquista una macchina in più, e crea lavoro in più. Non siamo in grado di moltiplicare pani e pesci. Il nostro obiettivo è che tutti riescano ad avere qualche lira in più nelle tasche da spendere”.
Finalmente la verità. Questo nuovo governo, che vuole tagliare le tasse ai più ricchi, non è quello del ?cambiamento? ma quello della ?restaurazione?, di un ritorno al passato remoto. Un passato dove esistevano diritti (e privilegi) solo per i ricchi e ai poveri veniva concessa unicamente la carità. È seguendo questi concetti che, quei ?lorsignori? che sono al governo, agiscono. Nella società alla quale vorrebbero si tornasse è la benevolenza dei pochi ricchi, la loro presunta ?generosità?, che permetterebbe la sopravvivenza dei tantissimi poveri. Una società nella quale i diritti costituzionali universali, l’uguaglianza, la solidarietà, la giustizia sociale diventano concessioni da parte di chi ?sta meglio?.

Questo ?nuovo? governo nulla dice e niente farà sull’evasione fiscale che sottrae alla collettività oltre 130 miliardi di euro ogni anno (lo ha riaffermato recentemente anche Cottarelli che non è certo né sprovveduto né utopista).

I ricchi non pagano le tasse? Evidentemente, per Salvini e soci ?giallo-verdi?, va bene così. Rendiamoci conto che la flat tax è, di fatto, il trionfo delle disuguaglianze dovute al possesso di ricchezza con una sorta di ?legalizzazione? dell’evasione fiscale (i ricchi sono autorizzati a pagare il meno possibile). È lo smantellamento, nel concreto, della Costituzione. Chi è ricco lo sarà sempre di più, e dipenderà solo dal suo buon cuore se chi è povero avrà qualche briciola in aggiunta alla fame.

Tutto meno che equità fiscale. Tutto meno che redistribuzione del reddito. Tutto meno che avere tutti le stesse opportunità.

Lo Stato che viene disegnato da ?lorsignori? è quello di qualche secolo fa, non c’è nulla di nuovo. Solo vecchie disuguaglianze che avanzano minacciose.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.