Si assumano 10.000 ispettori del lavoro… i padroni non vogliono e bocciano la proposta di Chiara Gribaudo

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Una lavoratrice in un'azienda manifatturiera
Una lavoratrice in un'azienda manifatturiera

Si leggono alcune notizie alle quali spesso non si dà peso, eppure sono importanti perché indicative di un qualcosa che, nel nostro paese, proprio non va e che sarebbe bene si riuscisse a cambiare.

Mi riferisco alla notizia di una lettera di risposta alla proposta dell’on. Chiara Gribaudo (PD). Una proposta del tutto legittima che, prendendo atto della drammatica situazione di carenza di personale che rende inefficienti e inefficaci le strutture preposte alla prevenzione e alla sicurezza nei luoghi di lavoro, indica almeno un tentativo di porvi rimedio.

On. Chiara Gribaudo (PD)
On. Chiara Gribaudo (PD)

Nella sua proposta avanzata con una lettera a Repubblica, l’on. Gribaudo chiede di assumere 10.000 ispettori del lavoro. La richiesta nasce dalla presa di coscienza che la situazione provocata dalla pandemia di coronavirus e la riapertura delle attività produttive hanno evidenziato la necessità di maggiore sicurezza nei luoghi di lavoro.

Finalmente, si dirà, qualcosa si muove. E se si chiedono maggiori investimenti e risorse per il controllo della sicurezza di chi vive del proprio lavoro è un fatto positivo.

Bene.

Poi si legge la lettera firmata dai cinque presidenti delle associazioni di categoria della provicia di Cuneo (e cioè di Confindustria, Confartigianato, Confcommercio, Confcooperative e Confagricoltura) con la quale, di fatto, contestano la proposta dell’on. Gribaudo e, sinceramente, si resta alquanto perplessi.

In pratica i presidenti delle associazioni di categoria succitate scrivono che la proposta lede la loro dignità. Snocciolano i vari sacrifici (i costi) che i loro associati devono affrontare, reputano l’assunzione di nuovi ispettori del lavoro, di fatto inutile e dispendiosa. Una tesi alquanto bizzarra se non fosse abituale alle associazioni padronali. In pratica quello che ci dicono è che ci dobbiamo fidare di quello che fanno e faranno. Non importa che, anche in assenza di coronavirus, nei luoghi di lavoro si muore per infortunio, ci si ammala e si muore a causa di malattie professionali. Non importa se ci possono essere dei fondati dubbi che le condizioni di lavoro siano perlomeno insufficienti in molte aziende. No, ci dobbiamo fidare perché lo dicono “lorpadroni” e la loro “parola” non può essere messa in dubbio o verificata. È verità assoluta. Solo che è la loro verità, non la realtà per la quale ogni anno muoiono, si ammalano e si infortunano migliaia e migliaia di lavoratrici e lavoratori.

Infine una cosa è giusto rimarcare. Nel finale della loro lettera di “protesta” nei confronti della proposta assolutamente logica di migliorare prevenzione e controlli sulla sicurezza, i presidenti delle associazioni succitate scrivono: “Ci troveranno demoralizzati e stanchi. Di pensare a un Paese diverso che non arriva mai. Di essere considerati delinquenti, ancor prima di aprire il cancello, solo perché nessuno ci accredita uno stipendio al 27 del mese. Ma, da eterni idealisti, ci troveranno comunque innamorati del nostro Paese e pronti a spendere le nostre energie migliori per fare la nostra parte, ogni giorno che Dio manda in terra, accanto ai nostri lavoratori.

Orbene:

  1. nessuno considera delinquenti a priori i firmatari.
  2. si dichiarano idealisti e innamorati del “nostro Paese”, certo, ma l’esperienza suggerisce che sia più facile pensare che tengano più che altro ai loro profitti
  3. fare rifermineto a dio è diventata un’abitudine abbastanza stravagante da parte di troppi e andrebbe, per così dire, calmierata
  4. definire chi vive del proprio lavoro “nostri lavoratori” indica sotto sotto una “ideologia del possesso” di esseri umani alquanto imbarazzante

Infine, pensare a un paese diverso può non essere sempre un bene. Dipende da quale sia la diversità auspicata, che obiettivo ci si propone. Se il significato è avere meno controlli e meno “lacci e laccioli” per poter sfruttare di più, pagare meno, diventare intoccabili … in poche parole andare avanti peggio di prima, allora non è certo un bene. Tutt’altro.

Lettera dell’on. Gribaudo del 1° maggio 2020 (fonte repubblica.it)

Bisogna tornare al lavoro. Serve al Paese, serve alle persone. Mai come dopo quest’emergenza il lavoro sarà “cittadinanza”, e mai come ora serve poter lavorare in sicurezza. In questo Primo Maggio, propongo al governo: assumiamo 10.000 ispettori del lavoro, distribuiti dalle ASL al livello centrale, per mettere davanti la salute di tutti.

Lunedì tante aziende dovranno riaprire “in sicurezza”, ma sappiamo bene che le regole non bastano. Il lavoro fatto fino ad oggi è stato importante, a partire dal protocollo fra parti sociali di metà marzo, che prosegue con le linee guida a cui lavora il governo. Serve, però, il controllo, perché tutti facciamo attenzione e nessuno possa pensare di risparmiare sulla salute degli altri. Questo vale per il Covid quanto per ogni altra situazione di insicurezza: ricordiamo bene i numeri dei morti sul lavoro che ogni anno superano il migliaio, sappiamo come siano in crescita le malattie professionali.

L’organico degli Ispettori del Lavoro è tremendamente inferiore a quello che sarebbe necessario per poter garantire una presenza che contribuisca anche e soprattutto alla prevenzione. Lo è da tempo, da troppo tempo, ma quest’anno i nodi verranno al pettine, in azienda e nei campi, perché in tutta la pubblica amministrazione il carico burocratico legato all’emergenza sta decimando l’operatività sul campo.

Di fronte a situazioni straordinarie, servono forze straordinarie. Sappiamo che una nuova curva di contagi è dietro l’angolo, se sui luoghi di lavoro non si manterranno distanze e protezioni, e ciò potrà accadere da lunedì fino al giorno in cui la scienza e la medicina non metteranno il virus sotto controllo, non sappiamo se vicino e lontano. E tutto questo in futuro potrebbe ripetersi. Mai come in questa “crisi”, abbiamo imparato cosa significhi avere uno Stato e una pubblica amministrazione in grado di rispondere prontamente ad un’emergenza. Rafforziamo subito chi ogni giorno si occupa della salute dei lavoratori: ne abbiamo bisogno da sempre, e oggi non possiamo più farne a meno.

Buon Primo Maggio a tutte e a tutti

Chiara Gribaudo

Vice Presidente Gruppo Pd Camera

Risposta dei presidenti delle associazioni di categoria cunnesi (fonte cuneo24.it – 3 maggio 2020)

Gentile Onorevole,

leggendo ciò che ha pubblicato sul quotidiano La Repubblica, noi forze produttive ci sentiamo tanto come gli ultimi della classe, gli scolari birbanti, quelli dell’ultimo banco che, appena ti giri, fanno volare gli aeroplanini e tirano le palline di carta al vicino di banco.

Cosa dobbiamo fare per difendere la nostra dignità e non sentirci chiamare colpevoli ancora prima di iniziare a lavorare?

Per la ripartenza, ogni azienda piccola o grande ha riorganizzato interi stabilimenti, laboratori e negozi, linee produttive, ingressi, turni, postazioni per la misurazione della temperatura, locali spogliatoi e mense con distanziamento sociale… una bella impresa!

Stiamo anche comprando migliaia di test sierologici e tamponi, tutto ovviamente a carico nostro, non dello Stato.

I sindacati aziendali discutono e condividono, come giusto, le modalità di applicazione dei protocolli, ogni azienda ha un comitato che proprio a questo scopo è stato costituito. Se no si chiude di nuovo, lo sappiamo meglio noi di chiunque altro.

Avete scritto più di mille pagine solo per dire come dovevamo stare chiusi. E poi altre centinaia per dire come dovevamo riaprire. E ogni nuova norma porta con sé un esercito di consulenti, avvocati, commercialisti, ingegneri, per essere sicuri di adempiere correttamente (a carico nostro, si intende).

Sa quante ore e giorni impiegati per trovare le mascherine adatte? 

E gli sforzi delle aziende riconvertite per produrle e poi fermate dalla burocrazia della pubblica amministrazione? 

Sa che spesso i dispositivi si pagano anticipatamente rispetto alla consegna e bisogna avere i soldi? 

Sa che solo un termoscanner evoluto costa alcune decine di migliaia di euro?

Lei sicuramente queste cose le sa, ma noi imprenditori la preoccupiamo, forse ci vede pronti a scansare il dovere, a cercare la scorciatoia, a cercare il risparmio, come fossimo eterni mercanti di Venezia.

Attendiamo anche i nuovi ispettori che lei auspica, siamo abituati da tempo a controlli di ogni genere, uno in più o in meno cambia poco.

Ci troveranno demoralizzati e stanchi. Di pensare a un Paese diverso che non arriva mai. Di essere considerati delinquenti, ancor prima di aprire il cancello, solo perché nessuno ci accredita uno stipendio al 27 del mese.

Ma, da eterni idealisti, ci troveranno comunque innamorati del nostro Paese e pronti a spendere le nostre energie migliori per fare la nostra parte, ogni giorno che Dio manda in terra, accanto ai nostri lavoratori.

Confindustria Cuneo – Il presidente, Mauro Gola

Confartigianato Cuneo – Il presidente, Luca Crosetto

Confcommercio Cuneo – Il presidente, Luca Chiapella

Confcooperative Cuneo – Il presidente, Alessandro Durando

Confagricoltura Cuneo – Il presidente, Enrico Allasia

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.