«Io e mio figlio autistico, nella palude dell’emergenza»

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«Sono stata travolta e, anche se ora si parla di ripartenza, io mi sento ancora nel mezzo della palude dell’emergenza». Le parole arrivano di getto dal telefono, ma il tono, dall’altra parte della linea, non è rassegnato o deluso, come potrebbe far pensare il contenuto della frase. Anzi, è deciso ed energico. Elisabetta Tonini ci assicura che non la disturbiamo: ha già completato gli impegni di insegnante con la didattica a distanza e Luca è in un momento di tranquillità. «Ci sono giornate serene e altre invece in cui urla, fischia, salta e batte le mani in continuazione – racconta -. Questo periodo è così: tanti momenti difficili da gestire, ma anche tanti di bellissimi, in cui stiamo insieme noi due, fuori dalla routine che l’autismo impone» .

Elisabetta è una mamma e Luca è suo figlio di vent’anni autistico. L’emergenza coronavirus è entrata con prepotenza anche nella loro casa catapultandoli in una realtà nuova, da cui sono rimaste fuori le tante attività che scandivano la vita di Luca: la scuola, le uscite assistite con gli amici, la piscina, il laboratorio di pasticceria. «In questi vent’anni, ho costruito un mondo di aiuti e sostegni, indispensabili per Luca, ma anche per me, perché mi permettono di lavorare e mi fanno sentire di avere un punto di appoggio – spiega Elisabetta -. Improvvisamente, dalla sera alla mattina, tutto questo è saltato. Mi sono ritrovata a dovermi prendere cura di lui 24 ore su 24, tutti i giorni, con un’unica eccezione per fortuna consentita dai provvedimenti legislativi: l’aiuto del padre di mio figlio, mio ex marito. Se prima la responsabilità della cura e della gestione di Luca era divisa in tanti pezzetti che condividevamo con l’insegnante di sostegno, l’operatrice sanitaria e le sue terapiste, ora è tutta sulle nostre spalle di genitori e questo lascia, a volte, senza respiro».

Così le giornate di Elisabetta vanno avanti come in una corsa continua, tra le attività con il figlio, le lezioni da registrare o condividere con i suoi studenti e qualche minuto di solitudine, in giardino, per ricaricare le forze. «Nelle prime settimane ero terrorizzata da possibili contagi e dall’eventualità di dover ricorrere a visite mediche che già nella normalità sono complicate da gestire – ricorda -. L’isolamento in casa ha reso tutto più difficile. Luca era abituato a un susseguirsi di impegni e di attività e il venir meno di queste ha interrotto il suo percorso di crescita e di apprendimento. Ci sono stati anche momenti duri, con attacchi di aggressività che mi hanno davvero spaventata e altri di insonnia, ma siamo sempre riusciti a superarli, potendo anche contare sulla costante consulenza a distanza della psichiatra di Luca. La speranza è che presto si possano riprendere almeno alcune delle piccole routine che possono essere d’aiuto e da stimolo».

Anche se ‘chiusi’ in casa, in queste settimane a Luca e ad Elisabetta non è mancata la solidarietà. «Dalle persone care e dai vicini abbiamo sempre ricevuto un grande sostegno – spiega con parole che sanno di ringraziamento -. E un supporto fondamentale l’ho trovato nei gruppi whatsapp delle diverse associazioni che seguono le famiglie con persone autistiche: hanno fatto un lavoro esemplare tenendo unita una comunità che, come non mai, aveva bisogno di informazioni e vicinanza».

Se il presente è difficile e complesso, Elisabetta trova comunque la forza di guardare avanti: «Non ci sono colpe, perché il virus ha colpito tutti in maniera inaspettata. Difficile, se non impossibile, trovare subito soluzioni, sapersi organizzare velocemente in un periodo surreale e mai vissuto prima da nessuno, almeno in queste proporzioni. Dobbiamo però nutrire fiducia e speranza: lo dico da mamma e da insegnante. Per Luca e per tutti i ragazzi, dobbiamo lavorare perché anche da questa situazione drammatica possa uscire un mondo migliore».