“La Questione” Sea Watch 3 e i lavoratori Ilva Arcelor Mittal, Giorgio Langella: pesi e misure diversi

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Giorgio Langella e il lavoro
Giorgio Langella e il lavoro

Sono consapevole che “la Questione” sia quella della nave Sea Watch 3 (a proposito, ho letto qui e là alcuni “svarioni” pericolosamente prossimi ai vari Fusaro e altri rossobrunisti o peggio … voglio ribadirlo io sono dalla parte dei disperati che sono diventati merce di scambio e ritengo che la posizione del governo grillo-leghista, così come le “cose” emanate dall’ex ministro Minniti, siano qualcosa di ignobile e inaudito dal punto di vista politico e umano), ma sul lavoro la situazione è sempre più drammatica.

E avviene nell’indifferenza generale. Sembra che sia tutto normale, tutto accettabile, tutto “dovuto” al sistema, a un modello che non si può cambiare. Ma vi sembra normale che possa succedere tutto questo. E che accada quasi di nascosto.
Al 29 giugno sono stati 340 i lavoratori morti nei luoghi di lavoro (sono stati 69 solo in giugno e 4 il 29 giugno) e 692 se si contano anche quelli in itinere. INAIL stessa dichiara l’aumento rispetto agli anni precedenti.

Arcelor Mittal mette in cassa integrazione a zero ore circa 1400 lavoratori da lunedì prossimo. E pretende di avere confermata l’immunità penale per un tot di anni (fino al risanamento e la messa in sicurezza dello stabilimento) o l’ex ILVA verrà chiusa. Al solito scatta il ricatto che mette in conflitto tra loro lavoro, salute, ambiente e giustizia. Risulta chiaro come l’accordo raggiunto qualche mese fa (firmato con soddisfazione da tutti, governo, sindacati e la cordata imprenditoriali della quale fa parte, oltre Arcelor-Mittal, anche Marcegaglia sia stata una cosa  favorevole solo agli obiettivi padronali.

La chiusura degli impianti tarantini costerà comunque meno che tenerli aperti (che ci sia l’immunità o no). Non viene forse il dubbio che  la dismissione sia la cosa che si voleva fin dall’inizio (Arcelor-Mittal si toglie dalle scatole un concorrente, tanto la produzione la farà da un’altra parte). Non sarebbe forse doveroso e giusto espropriare l’ex ILVA così come previsto dalla Costituzione? E, magari, sulla questione della proprietà delle attività produttive strategiche aprire un contenzioso con la UE e su questo alzare la bandiera della sovranità nazionale?

Nel frattempo i sindacati che fanno? Niente o peggio. Landini si sta comportando come era prevedibile (ahimè). La CGIL si adegua all’andazzo generale diventando sempre di più indistinguibile da CISL (anzi sembra ne sia, di fatto, succube).

E poi, dal punto di vista salariale la confusione sul reddito minimo regna sovrana. CGIL si dichiara contraria e porta argomentazioni, a mio avviso, parziali e “stravaganti”. Lede il contratto nazionale? E dove? E perché? Si ha, forse, l’idea di cosa significhi, oggi, lavorare “a partita Iva” (quando va bene) per qualche padrone? Si ha la misura di quanto si percepisce da precario? I 9 euro sono comunque, oggi, per un enorme numero di lavoratrici e lavoratori una chimera, qualcosa di irraggiungibile.

Perché non si affronta la questione salariale in maniera seria e, soprattutto, avendo come obiettivo maggiori benefici per chi vive del proprio lavoro? E, no. Sembra che tutto si debba limitare a diminuire tasse e oneri per le imprese. Che sia “scritto così” in qualche testo sacro. Ma, ditemi, qualcuno ha mai visto che un maggiore profitto di impresa si trasformi automaticamente in maggiore ricchezza dei lavoratori, così, per bonaria volontà del padrone? Ci vogliono regole e leggi che impongano una distribuzione equa della ricchezza (almeno) e la presenza (maggiore, pianigìficata e qualificata) dello Stato nello sviluppo industriale del nostro paese.

Si dovrebbe agire, lottare, ma non esiste nessun progetto di alternativa al sistema e al modello di sviluppo trionfante. Non c’è nessun piano industriale, nessuna voce fuori dal coro (per essere sinceri sembra che anche che tutti, sindacati, organizzazioni politiche, associazioni, persino imprenditori siano afoni … che si brancoli nel buio … ma, statene certi, c’è sicuramente qualcuno che canta benissimo e sfrutta l’indifferenza degli altri).Non c’è nessun progetto che indichi quale deve essere lo sviluppo tecnologico, verso quali settori deve essere indirizzato, a chi andranno i benefici prodotti (ai padroni o a chi lavora in termini di maggiore sicurezza, migliori retribuzioni, minore stanchezza e alienazione …).

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.