Fra i tanti faldoni di documenti messi a disposizione dagli imputati alla fine delle indagini della Procura, nel procedimento penale per le vicende di Veneto Banca, è di recente emersa una lettera definita “strettamente riservata”, datata 20 aprile 2016 e in possesso, non solo, nostro, in cui l’allora presidente dell’istituto trevigiano, Pierluigi Bolla, scrisse alla Banca Centrale Europea (all’attenzione di Katia Mastrodomenico), alla Banca d’Italia (all’attenzione di Carmelo Barbagallo e Fabio Panetta) e alla CONSOB. Con tale missiva l’allora rappresentante della banca trevigiana comunicò una serie di dati sensibili riferiti ai principali soci che avevano aderito alle due associazioni presentatrici di una lista di candidati alla carica di amministratori, alternativa a quella indicata dallo stesso Consiglio d’Amministrazione in carica e che, nell’imminente competizione assembleare, erano suoi avversari.
Scopo dichiarato della lettera era quello di segnalare, proprio in vista dell’importante votazione del 5 maggio successivo, alcuni supposti profili di criticità degli appartenenti alla lista concorrente, riguardanti soprattutto, un’asserita ingente esposizione verso Veneto Banca da parte dei presentatori della lista, molti dei quali, a suo dire, sarebbero stati titolari di posizioni anomale.
E, invocando, quanto meno per questo, un intervento di sospensione del voto degli aderenti alle due associazioni, sue avversarie, il presidente Bolla espresse nella lettera il timore che i candidati da essi indicati potessero, poi, “promuovere una gestione sensibile alle esigenze delle proprie esposizioni debitorie … e che, per un mero calcolo di interesse, (potessero) in futuro condizionare i comportamenti degli amministratori designati in senso non conforme a quello imposto dalle regole di una sana e prudente gestione “. Manco a dirlo la lettera è, poi, finita subito in mano alla stampa (ma guarda caso!), coerentemente con il suo carattere riservatissimo… Il tutto a quindici giorni dall’assemblea, prevista per il 5 maggio successivo.
In altri termini, il firmatario di questa grave missiva, capofila della lista proposta dal CdA in carica, aveva approfittato della sua conoscenza professionale di tutti i conti dei soci per far apparire gli avversari come prevalentemente problematici e pronti, per questo, ad approfittare dell’occasione di gestione della banca per curare i propri interessi. Non andò tanto per il sottile ed accomunò tutti gli appartenenti alle associazioni nel descriverli come soggetti non affidabili e profittatori.
Da allora è passata molta acqua sotto i ponti e gli eventi successivi, ormai arcinoti, hanno travolto la banca e, con essa, i risparmi di tutti i suoi soci. Vale, comunque, ancora la pena di segnalare all’opinione pubblica l’etica dei personaggi nelle cui mani, in quei tempi, era finita la banca. Non hanno avuto alcuna esitazione a gettare gratuito discredito su tante rispettabili e solvibili persone e su soci storici e fedeli (peraltro sulla base di dati largamente inveritieri) per il solo fatto di aver aderito alle associazioni che avevano espresso una lista di candidati alternativa a quella proposta dal Consiglio in carica (nella quale militava lo stesso presidente scrivente di allora: ma guarda caso!).
Nomi e cognomi di imprenditori e di professionisti sputtanati e ingiustamente additati come titolari di posizioni deteriorate o come sottoscrittori di azioni finanziate, rapporti di parentela svelati, in violazione delle disposizioni di tutela della privacy… La lettera era firmata solo dall’allora presidente Bolla, ma verosimilmente era stata condivisa da coloro che, in quei tempi, formavano, con lui, il gruppo decisorio, i cui nomi sono noti.
Questa è stata la principale strategia operativa di coloro che miravano a proporsi alle istituzioni bancarie come i più idonei ad assicurare “la gestione sana e prudente della banca” e che sulle pagine dei giornali (naturalmente pubblicate a spese della banca) si vantavano di operare (solo loro) con il plauso di BCE; basta andarsi a rileggere i quotidiani di allora.
Il loro principale strumento di lotta era, dunque, divulgare, a pochi giorni dall’assemblea, dati sensibili sui conti degli avversari (di cui avevano la disponibilità conoscitiva in ragione del loro mandato), tentando di farli apparire come inaffidabili; formare su di loro dossier negativi (per poi farli pervenire alla stampa…), screditare, in tutti i modi, l’operato degli amministratori precedenti, attaccandoli anche sul piano personale e inventando gossip sul loro conto; spargere veleno a 360° per mendicare il consenso dei decisori…
Complimenti per l’affidabilità comportamentale e per l’etica!
Un po’ alla volta, però, le verità emergono: basta aspettare…
Giovanni Schiavon
ex magistrato, m già presidente dei tribunali di Belluno e Treviso