Omofobbia: Puntualmente, con l’estate e le spiagge, arrivano in modo più vistoso ed eclatante gli ennesimi atti omofobici e relative lamentele dei diretti interessati e di organizzazioni di vario tipo (1). Le cronache locali e non solo, a caccia di scoop che credono siano più succulenti quando riguardano il sesso (se poi vietato dalle culture dominanti…), stimolati anche dai diretti interessati, ne danno notizia con meno rilievo se, nella spiaggia locale, si sia fatta vedere una star dello spettacolo o della politica (2). Questo a significare – con le dovute differenze, per carità – che, come ci stiamo facendo l’abitudine (e quindi meno attenzione) ai morti, sfollati e feriti dell’invasione in Ucraina o alla pandemia di covid, lo stesso accade per l’omofobia.
Una sorta di nostro male quotidiano a cui “ci siamo fatti il callo”.
E invece, come per la guerra in Ucraina nonché per il covid (3), è bene non farselo questo callo, altrimenti violenza e ingiustizia entrano di pari diritto nel nostro quotidiano, e il disagio diventa accettato e “naturale”.
Omofobia. Mediamente le scene più clamorose coinvolgono due uomini che si fanno effusioni in pubblico. Ché se sono due donne, l’irritazione è minore (4). Se poi sono un uomo e una donna, a meno che le effusioni non si estendano a “pomiciamenti vistosi” se non atti sessuali, l’indifferenza è diffusa.
Come non “farci il callo”?
Parlarne, parlarne e parlarne, soprattutto ai piccoli e giovani. Vanno bene feste tipo “Gay pride”, l’orgoglio omosessuale, ma accade che finita la festa e, al di là dei diretti partecipanti, per quanto ogni festa lasci un segno, non si può andare avanti in attesa del prossimo atto omofobico sì che si riparli del “problema”. Occorre che ogni episodio non sia più un “problema”.
Parlarne significa fa rientrare tutto nella normalità, per far sì che quest’ultima sia la somma di diversità e non espressione di una monoliticità, che i più forti chiamano cultura.
Nel caso delle spiagge, vigente ancora nei codici l’offesa al pudore e gli atti osceni in luogo pubblico, sarebbe opportuno che ogni atto che richiami sessualità (per esempio, baci e carezze uomo/uomo, donna/donna, donna/uomo o un gruppo di varia composizione) venga denunciato all’autorità. Una provocazione? La legge è uguale per tutti. E, forse, è la legge che è fatta male, visto che affida la definizione di “pudore” e “osceno” alla cultura individuale di chi si irrita e, peggio, di chi poi, nel caso, dovrebbe giudicare.
Insomma, se cominciamo a parlare del fatto che è assurdo ritenere illecita l’espansività affettiva e sessuale, ci concentriamo sui diritti individuali e non quelli collettivi, in considerazione del fatto che questi ultimi sono decisi da chi ha forza e potere e, di fatto, si affermano violando i diritti individuali.
Un suggerimento per gli specialisti delle lamentele omofobiche e che, quando non si manifestano questi atti di violenza, sembra che stiano solo aspettando il prossimo per farsi sentire.
Qualcuno potrà dire che c’è già la mobilitazione nazionale sul ddl Zan… ma, a parte il “sonno” a cui è stato relegato questo atto parlamentare e le evidenti difficoltà in cui stagna, sarebbe meglio far comprendere (5) a tutti che sono in gioco i diritti di tutti e non di minoranze.
1 – qui l’ultimo episodio su una spiaggia toscana
2 – dove, spesso, non sono chiari i limiti tra spettacolo e politica…
3 – e aggiungiamo: per ogni tipo di ingiustizia
4 – la società a predominanza di cultura maschilista ritiene più accettabile l’effusione lesbica, anche perché spesso ad inalberarsi e decidere sono uomini che, nel loro immaginario sessuale, le lesbiche sono “obiettivo” e non “irritazione”.
5 – anche ai più tenaci sostenitori dei diritti Lgbtqi+
l’associazione non percepisce ed è contraria ai finanziamenti pubblici (anche il 5 per mille)
La sua forza economica sono iscrizioni e contributi donati da chi la ritiene utile
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