Paolo Giordano, “La solitudine dei numeri primi” – Recensione del libro II

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Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi
Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi

Se penso ad un “vizio”, penso all’isolamento, alla tristezza, alla cattiva salute, alla paranoia, alla… solitudine? Se ci pensiamo, il vizio del fumo colpisce chi non è accettato dagli altri, chi non ha niente da fare, nessuno a cui parlare, chi è solo. L’alcol prende chi non è compreso, chi vive chiuso in casa, chi non ha speranza, chi è solo. L’avidità è tipica di chi si dedica solo ai soldi, chi lo considera l’unico modo di essere felici, chi spera così di migliorare la propria vita, chi è solo.

È la solitudine il marionettista dietro il velo di molti vizi: chi è solo ha poche possibilità di restare sulla strada giusta, in fondo se non c’è nessuno per cui contiamo, chi ci trattiene dall’essere tentati?

La solitudine poi è un vizio in sé: chi è solo soffre sì, per un certo tempo, ma se non ha la forza o la possibilità di uscire dal nascente vortice, ne viene attratto con sempre più forza fin quando l’ultimo filo di speranza a trattenerlo cede, e vi si abbandona, prendendoci gusto, in un dolce naufragar nel pacato mare della solitudine.

La solitudine è ovunque, ce n’è un po’ nella vita di ognuno ed è, a volte, un bene, un rifugio, ma per alcuni la solitudine è una condanna, un marchio a fuoco indelebile che funge da fulcro intorno al quale ruoterà la propria vita.

La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano (2008, Mondadori) racconta proprio della vita di due ragazzi condannati alla solitudine sin dall’infanzia. I protagonisti, Alice e Mattia saranno entrambi marchiati da traumi durante la più giovane età, eventi che li trasporteranno verso vizi letali, vizi che assaliscono la mente e il corpo di chiunque, senza distinzione: bambini, adulti, uomini o donne, vizi basati però, forse più di tutti, sulla solitudine.

Alice soffrirà sin dall’adolescenza di anoressia nervosa e di una vertiginosa solitudine che lei cercherà a tutti i costi di colmare, circondandosi di persone che non ama veramente, anche sacrificandosi per loro. L’unico a capirla, ad amarla e ad accettarla veramente sarà Mattia.

Sin dal giorno in cui ha perso sua sorella, Mattia è autolesionista e si veste completamente della sua accecante solitudine, amplificata anche dal suo cervello fuori norma.

Egli non cercherà mai, al contrario di Alice, la compagnia di coloro che non apprezza, anzi, accetterà e si abbandonerà completamente alla lussuria della sua solitudine.

Per questo Alice e lui si completano: sono due esseri completamente diversi, addirittura dai comportamenti opposti, uniti però da quel «filo elastico e indivisibile, che poteva esistere solo tra due come loro; due che hanno riconosciuto l’uno nell’altra la propria solitudine».

La loro solitudine sarà così grande e profonda da avvicinarli, mantenendoli comunque inevitabilmente divisi. La sincerità dei loro sentimenti sarà impotente di fronte alle loro colossali fortezze; fortezze di tristezza, incomprensioni, frustrazioni, delusioni, accumulate durante tutta la vita e sepolte nel silenzio delle loro solitarie anime.

Di Iris Tamborero della classe 2A.

Mi chiamo Iris Tamborero, ho 15 anni e frequento il Liceo Scientifico “Da Vinci” di Bisceglie. Ascolto musica giorno e notte e ho un punto di vista del mondo in generale diverso dai miei coetanei. Non ho la minima idea di cosa voglio fare da grande perché tutto mi interessa e mi incuriosisce, sono ancora alla ricerca di una passione assoluta, ma so che imparare di più su ciò che mi piace è la strada giusta.

Qui la recensione dello stesso libro di Daniela Lamanuzzi.