Pieroad, il giro del mondo a piedi: il vicentino Guarrera trova un passaggio per il Sudamerica

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Pieroad vicentino Nicolò Guarrera in viaggio verso Panama giro del mondo a piedi

Prosegue il giro del mondo a piedi del vicentino Nicolò Guarrera (qui le sue avventure su ViPiu e qui su L’Altro Veneto). Ha trovato un passaggio, in nave, per raggiungere Panama e proseguire il suo viaggio cambiando continente dopo essere partito da Malo a inizio 2020 attraversando orizzontalmente l’Italia fino a Genova e poi proseguire in Francia e in Spagna fino alle Canarie prima di attraversare l’Oceano e andare in Sudamerica da dove poi si sposterà in Asia per ritornare infine a Malo dall’altro lato.

Ho trovato degli amici – scrive su Instagram -. Ogni tanto cercare diventa una scusa per non essere mai soddisfatti, per continuare a sentirsi affamati di mondo, giustificando una tensione senza posa che porta la curiosità ad indagare sino al più piccolo, irrilevante dettaglio“.

Ma è poi così male fermarsi per un poco, prendere fiato e guardarsi attorno senza spirito inquisitorio, accettando ciò che viene? Un quarto del viaggio compiuto finora, un intero mese di cammino senza passi, ha portato in regalo persone gentili, altruiste, talvolta eccezionali, ciascuno con un’immensa eredità legata all’ombra che si porta appresso

Grazie Diego, Ricky, Alberto, Max, Fede, Marco, Enrico e tutti i coinquilini disagiati di calle Barcelona (14+cane+gatto). Non scorderò mai il vostro nome

Ci rivediamo nel mondo

Nell’ultimo post invece si legge quanto segue: Trentatré giorni in quindici passi di lunghezza ed otto di larghezza. Ci vogliono circa venti secondi per percorrerli ed i pochi movimenti richiedono l’impiego di tutti e quattro gli arti perché non c’è punto fermo e rischi di cadere fuori bordo o battere su uno spigolo ad ogni spostamento. La concentrazione è alta, non sono ammesse distrazioni. Per trentatré giorni. La popolazione si compone di tre individui, nessun contatto con il resto del mondo a parte qualche sporadica informazione trasmessa via radio. No internet, no telefonate, si parla una lingua diversa dalla tua, i dialoghi sono privati dell’imediatezza. “Mai” è stata l’ultima volta che ho vissuto in queste condizioni. Trentatré giorni. Riesci ad immaginarlo? Ti hanno detto tutti che in tre settimane sarete dall’altra parte, perciò cosa proveresti quando proprio all’inizio della terza, dopo sette giorni senza vento in mezzo all’oceano, arrivasse una tempesta che sputa acqua gelida per giorni e giorni, cercando di riportarti indietro? Devi fare i conti con scorte di cibo limitate e l’acqua ha un retrogusto di pesce crudo. La notte si dorme cinque ore, poi fuori per il turno di guardia, circondato da tenebre impenetrabili ed il rumore costante, sordo, delle onde che battono contro lo scafo. I palmi di mani e piedi si spellano per il sale e l’umidità, i capelli sono aggrovigliati in nodi che nemmeno i più arditi degli auricolari riuscirebbero a copiare. Aspetti un lieto fine? Che dica Al bando gli aerei, gli oceani si attraversano in barca? Invece no, non lo rifarei senza dubbio e non é un’esperienza che consiglio a tutti
É stata tosta. L’oceano, a lungo andare, toglie sia la noia che il divertimento, ipnotizzandoti con la sua sconnessa ritmicità di nulla. Devi accettare la sua lentezza e scavare ogni microscopica variazione in qualsiasi cosa: sono loro la linfa vitale nelle giornate altrimenti uguali che si trascinano in una desolante lunghezza. La consolazione arriva proprio dal mare, quest’universo lungo trentatré giorni che mi ha affondato per poi mostrarmi cosa c’era lì in fondo. Cosa? Uno specchio: uno per lui ed uno per me. Ma per vedere cosa riflette, bisogna venire qui”.

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