Soumaila Sacko: in die septima

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Nella nostra povera patria è grande il bisogno di ricordare, di mantenere avere memoria. Per questo voglio ricordare che sette giorni fa Soumaila Sacko è stato ucciso in Calabria, a San Calogero in provincia di Vibo Valentia. E voglio ricordare che Soumaila Sacko era un giovane migrante, nato nel Mali che lavorava come bracciante e che era sfruttato da “caporali” e padroni. Voglio anche ricordare che Soumaila Sacko era un sindacalista dell’USB sempre in prima fila nella lotta per conquistare condizioni di lavoro più umane. Era un uomo, un ribelle che non poteva accettare di essere trattato come una “cosa”, come un “animale da soma”.

Voglio anche ricordare che Soumaila Sacko non stava “rubando” alcune lamiere, come è stato scritto da vari giornali, in una acciaieria abbandonata e posta sotto sequestro perché “in quel posto sono state sotterrate 130 mila tonnellate di fanghi e ceneri industriali” (cfr. articolo del Corriere della Sera “Rifiuti tossici e segreti: la pista della fabbrica nel delitto di Sacko” di Carlo Macrì).

E che non è vero che sia stato ucciso “durante una sparatoria“.

No. Soumaila Sacko è stato assassinato a freddo perché lottava per i suoi diritti, per quelli dei suoi compagni e per quelli di ognuno di noi. È stato assassinato perché alzava la testa, perché era un sindacalista, perché era sfruttato, perché era un migrante e, come ci vogliono far credere “lorsignori”, i migranti sono cattivi e ladri.

Voglio ricordare Soumaila Sacko e voglio ripetere il suo nome perché ci resti ben impresso nella memoria. Perché il nostro “bel paese” ha necessità di non dimenticare. Ha necessità di pensare e di sapere. Che il pericolo vero e letale non sono i migranti che per pochi centesimi si spaccano la schiena nei campi e che sono costretti a vivere in condizioni disumane. Il pericolo per la loro e la nostra vita viene sempre dalla stessa parte. Dagli sfruttatori e non dagli sfruttati, dai padroni e dai “caporali” e non dai lavoratori ridotti alla schiavitù, da chi si arricchisce sulla fame di chi lavora, dalla ‘ndrangheta, dalla mafia.

Da quegli stessi che uccisero, in Sicilia, Placido Rizzotto nel 1948 e Salvatore “Turiddu” Carnevale nel 1955. Ecco, Soumaila, come Placido e Turiddu, era un sindacalista. Come loro lottava per i diritti degli sfruttati. Come loro è stato ucciso perché non si adeguava, perché non aveva chinato la testa, perché rifiutava la paura e guardava con occhi aperti il futuro che voleva costruire. Un futuro dove non esistono sfruttamento e discriminazione, razzismo e indifferenza, ingiustizia e barbarie. Una società dove tutti abbiano gli stessi diritti, la stessa dignità e dove nessuno abbia più paura.

Ricordiamocelo, per questo lottavano Turiddu, Placido e Soumaila. E per impedire che i loro ideali potessero vincere, sono stati uccisi.