Teleriscaldamento, Alto Vicentino Ricicla: “un disastro rispetto alle previsioni, perché investire ancora soldi dei cittadini?”

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Le recenti dichiarazioni – è scritto in un comunicato di AVR Alto Vicentino Ricicla e firmato da Laura Rossi, Marco Rampon, Lanfranco Santacatterina – rese alla stampa dalla neopresidente di AVA, Alto Vicentino Ambiente, in merito all’ulteriore investimento di due milioni di euro  sul teleriscaldamento da incenerimento rifiuti e le considerazioni espresse sull’impatto ambientale di tale scelta sono profondamente  sconcertanti.

In veste di cittadini-proprietari di AVA, società pubblica i cui soci sono i comuni dell’Alto Vicentino, chiediamo alla Presidente una pronta ed esauriente risposta ad alcuni interrogativi che scaturiscono dalla semplice comparazione di  dati, peraltro resi dalla società stessa.

Nel 2008 i consigli comunali dei comuni soci di AVA diedero parere positivo al piano industriale secondo il quale l’investimento di  oltre venti milioni di euro  per realizzare la rete di teleriscaldamento avrebbe fruttato alla Società la vendita annuale di una quantità di calore pari a 60.000 MWH, con un ricavo di oltre 2.680.000 euro all’anno. Ebbene, nel 2019, come si evince dal bilancio di AVA e dai dati di produzione riportati nel sito dell’azienda, la quantità di calore venduta è stata pari a 24.400 MWhe (quasi il 60% in meno rispetto alle previsioni) , con un ricavo di soli 900.000 euro, cioè oltre 1.700.000 euro in meno ogni anno  ( 66,4%in meno rispetto alle previsioni), con un continuo calo rispetto agli anni precedenti, nel corso dei quali non ci si è mai neppure lontanamente avvicinati agli obiettivi.

Quale società dichiarerebbe trionfante di voler proseguire in questa operazione, per di piu’ definendo simili risultati “ eccellenti”  ? Con quale coraggio si annuncia  l’investimento di ulteriori due milioni di euro in un progetto che si è rivelato un fallimento rispetto alle previsioni ? A fronte di un investimento così oneroso di denaro pubblico e di risultati così deludenti, siamo da allora costretti  a bruciare di più, importando rifiuti (e, in effetti, a tutt’oggi i rifiuti urbani prodotti dai comuni di AVA rappresentano soltanto il 24% del totale dei rifiuti inceneriti nell’impianto di Schio ), proprio come temeva   buona parte della popolazione dei comuni limitrofi all’impianto che era per questo contraria al progetto .

E’ evidente che le potenzialità del mercato relative all’allacciamento alla rete del teleriscaldamento sono state grossolanamente sopravvalutate dagli autori del piano industriale, i quali non hanno considerato che, a differenza dell’energia elettrica prodotta dall’impianto, facilmente ceduta con la semplice immissione in rete e per questo venduta rispettando le previsioni del piano industriale , la vendita del calore richiede contratti singoli per ogni utenza ed  interventi di adeguamento dell’impianto di riscaldamento con costo  a carico del cliente.

Come giustificare un tale macroscopico errore di valutazione da parte della società ? Per quanto riguarda le emissioni di inquinantie prendendo come esempio gli ossidi di azoto , un gruppo di inquinanti indicatori dell’inquinamento da combustione il cui effetto nocivo sulla salute e sull’ambiente (cambiamenti climatici compresi) è ampiamente dimostrato, i valori annuali di emissione effettivamente riscontrati ( 46,89 tonnellate nel 2017 ) sono cinque volte più alti rispetto a quelli prospettati nel piano industriale (9,66 tonnellate all’anno) . Come spiegare tale differenza, considerato che una voce importante dell’investimento riguarda l’installazione dei dispositivi DENOX, volti proprio ad abbassare le emissioni di ossidi di azoto ?

Per concludere, veniamo alle considerazioni di carattere ambientale. L’affermazione che  l’impianto abbia apportato al territorio “benefici ambientali enormi” è davvero sconcertante.  La tempesta Vaia e le drammatiche prospettive dei cambiamenti climatici ci ricordano che  non è più il tempo di parole e numeri in libertà.  Chiediamo dunque  da quale calcolo emergano quelle 6300 tonnellate di petrolio che la Presidente afferma avremmo risparmiato con il teleriscaldamento. La invitiamo a spiegarlo in un incontro pubblico, confrontandosi con esperti sulla base di dati scientifici, abbandonando queste modalità comunicative di mera propaganda.

 Gli inceneritori, che solo in Italia continuano ad essere chiamati “termovalorizzatori”, recuperano in realtà mediamente  soltanto un quarto dell’energia contenuta nei materiali che vengono bruciati, senza contare che, a parità di energia prodotta, l’incenerimento dei rifiuti genera più CO2 di una centrale a carbone. Anche per questo l’Europa pone l’incenerimento  al penultimo posto nella gerarchia dei rifiuti, tanto che, secondo la Commissione Europea (2017) “la quantità dei rifiuti non differenziati utilizzati come materia prima nei processi di termovalorizzazione dovrebbe diminuire a seguito degli obblighi di raccolta differenziata e dei più ambiziosi obiettivi di riciclaggio dell’UE. Per questi motivi si invitano gli Stati membri a ridurre gradualmente il sostegno pubblico per il recupero di energia da rifiuti non differenziati”.  Ed è sulla scorta di queste indicazioni che la Danimarca, uno dei paesi  d’Europa che più aveva puntato sull’incenerimento, ha nello scorso maggio approvato un nuovo piano rifiuti che si basa sul recupero di materia e sulla progressiva dismissione degli inceneritori, necessaria per raggiungere la neutralità climatica del ciclo dei rifiuti entro il 2030.

Quanto al dovere di “ lasciare ai nostri figli un ambiente più sicuro e pulito”,  non possiamo che concordare  ricordando che, in caso di futuro spegnimento della linea 2 dell’inceneritore, le giovani generazioni potranno respirare in un anno un’aria che conterrà 23 tonnellate in meno di ossidi di azoto e 5,6 tonnellate in meno di polveri.


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