Turchi attaccano i curdi traditi da Trump, snobbati da UE e difesi solo dai twit di Di Maio. Ma finale Champions è a Istanbul

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Attacco ai curdi: i nazionali turchi festeggiano salutando militarmente
Attacco ai curdi: i nazionali turchi festeggiano salutando militarmente

I curdi solo due anni fa assolvevano al compito di sgominare l’Isis a loro assegnato dagli Usa e dal mondo che si opponeva allo stato islamico, dopo aver contribuito a generarlo.

Oggi gli Usa di Trump hanno dato il via libera agli alleati nella Nato della Turchia, salvo minacciarli poi di future sanzioni economiche ma a giochi fatti, per ricacciare il popolo curdo tra le braccia del dittatore Assad, loro nemico, a cui devono consegnarsi lasciando il sogno di avere una propria terra ma pur di non morire.

E l’Europa che fa? Tra mille distinguo e, comunque, senza effetto immediato alcuni paesi europei bloccano le armi dirette in Turchia, che ha l’esercito Nato più grande dopo quello a stelle e strisce, come balbetta la Germania, che ha poco meno di quattro milioni di turchi in casa.

E come promette il prode Luigi Di Maio che condanna a parole i turchi e dice festante che lui, proprio lui ministro degli esteri firmerà, quando?, il decreto che bloccherà i contratti, quelli futuri, però, delle aziende italiane fornitrici di armi all’esercito di Erdogan, come se questo cambiasse qualcosa ora che di armi ne ha a bizzeffe.

Grazie anche a chi ha voluto la Turchia nella Nato, solo per non vederla con altri nemici, e ancora fino a poco tempo fa la vedeva come nazione europea, pur essendo storicamente e culturalmente tutto fuorché un Paese a democrazia europea, e che l’ha riempita di miliardi di euro perché si tenesse in casa i migranti che ora minaccia di spingere verso Roma, Parigi, Berlino e Madrid se queste capitali e le altre targate UE dovessero far troppo, se non a parole, contro l’attacco militare ai curdi.

In tutto questa triste storia di alleanze tradite (quanto costerà agli Usa il voltafaccia in termini di credibilità internazionale?), di bau bau senza mordere (quando arretrerà ancora la speranza di un’Europa dei popoli?) e di impegni italici di stop virtuali alle armi (quanti twit dovremo ancora subire dai membri di un governo, che come quello precedente, parla troppo e decide poco?) spicca la grande sensibilità del calcio.

Il vice presidente dell’Uefa, l’italiano di nascita e di carrierismo Michele Uva, agli appelli a revocare l’assegnazione a Istambul della finale di Champions anche per il gesto dei calciatori della nazionale turca che hanno salutato militarmente il pubblico in Albania a sostegno dell’attacco ai curdi, cosa risponde?

Revocare una finale è un atto forte, dal punto di vista sportivo“.

Evidentemente per Uva sta compiendo un’impresa solo sportiva un paese che uccide e disperde un popolo.

Se non fosse una domanda macabra sarebbe quasi da chiedere a chi sta per morire e a chi sta scappando implorando l’aiuto dei suoi precedenti carnefici, i siriani di Assad, se valga ancora la pena vivere in un mondo dominato dal denaro e dall’indifferenza verso l’uomo.

Quindi via, correte tranquilli e festanti a prenotare voli e biglietti per andare il 30 maggio 2020 a Istanbul con trombe e bandiere, tanto chi volete che se ne ricordi, fra qualche mese, davanti a Erdogan festante di morti e fuggitivi e chi volete che si ricordi che nel 1938 le Olimpiadi furono assegnata alla Germania di Hitler?

Un solo dubbio ci fa tremare e dovrebbe percorrere le membra degli “indifferenti”: e se lì scoppiassero di nuovo le bombe delle migliaia dei miliziani dell’Isis prima vigilati dai curdi e ora sulla via della fuga dalle carceri distrutte dai turchi e abbandonate dai loro guardiani che devono scappare?

Ce la prenderemo con l’Isis rinata per chissà quali ragioni o con chi, direttamente o collusivamente, uccide i curdi per rimettere in circolo il business del terrore?