Piantedosi non scapperebbe dal paese. Ma sarebbe meglio lo facesse

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Matteo Piantedosi
Matteo Piantedosi

Mi sento vicino a ministri come Luca Ciriani (rapporti con il parlamento), Andrea Abodi (sport e giovani), Alessandra Locatelli (disabilità). Non perché ne apprezzi particolarmente l’operato, ma perché stanno nel loro, non esternano, non si lasciano andare a sguaiate diatribe, a differenza dei Sangiuliano, Roccella, Nordio, Salvini… e, ovviamente, Matteo Piantedosi.

Lo avevamo lasciato a spezzare le reni ai ragazzini dei rave party e a discettare di carico residuale, riferendosi ai migranti a bordo delle navi al porto di Catania, qualche mese fa.
Lo ritroviamo, più in forma che mai, nei giorni scorsi, con le dichiarazioni sulla tragedia di Crotone: almeno 64 naufraghi morti, tra cui diversi bambini.
Il ministro comincia col dire che “la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettano in pericolo la vita dei propri figli“. Ah, l’avessero detto a mio padre, quando nelle estati di molti anni mi portava al mare viaggiando sulla Salerno – Reggio Calabria!
Il naufragio, insomma, è colpa di genitori irresponsabili, che non guardano le previsioni del tempo e non scelgono vettori adeguati per il loro viaggio della speranza.
Mi pare di vederli, al porto di Smirne, mentre sorseggiano un cocktail in attesa della partenza:
– Il vento sta rinforzando un po’, Seilm, non è che troveremo mare grosso?
– non preoccuparti Fatima, il capitano mi ha assicurato che il nostro yacht è attrezzato per ogni evenienza!
– uh, meno male, non vorrei che il mio iPhone 14 prendesse qualche schizzo dai marosi, l’ho appena comprato… andresti a prendere qualche altro gamberone?
Ma non è finita. Come se non bastasse, Piantedosi si mette a minacciare, via nota ministeriale e Avvocatura dello Stato, gli ospiti di Non è l’Arena, rei di avere messo in dubbio l’operato di ministero degli interni e Guardia Costiera nel mancato intervento in soccorso del barcone, prima che si incagliasse al largo di Crotone.
Al punto di far sbottare Enrico Mentana “Questa è una minaccia! Facciamo nostre le parole che sono state dette, così l’Avvocatura dello Stato se la prende anche con noi“.
Ma la dichiarazione che preferisco è quella sull’educazione alla responsabilità. Quando i giornalisti gli chiedono cosa avrebbe fatto lui, in condizioni di disperazione, il ministro sollevando fiero il mento risponde “Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo chiedere io al luogo in cui vivo ma cosa posso fare io per il Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso” (pare che subito dopo, la lapide di John Fitzgerald Kennedy ad Arlington si sia incrinata).
Inutile dire quanto queste parole siano fuori luogo e fuori contesto, mentre il rappresentante di una delle più importanti istituzioni del Paese parla di una terribile strage del mare. E quanto, se non ci fosse da piangere, questo atteggiamento machista d’antan farebbe sbellicare dalle risate.
Mi è subito tornato in mente un manifesto sui migranti di CasaPound, di qualche anno fa: “Chi scappa dalla guerra abbandonando genitori, mogli e figli non merita rispetto“.
Qualche spirito geniale, utilizzando lo stesso font, aveva aggiunto una chiosa fulminante “Tipo il Duce.